Diario di scuola – Daniel Pennac

Diario di scuola – Daniel Pennac

Titolo: Diario di scuola

Autore: Daniel Pennac

Editore: Feltrinelli

Genere: saggio, ragazzi

Pagine: 264

Prezzo: 9,00

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Trama

Daniel Pennac, oggi tra i più famosi e apprezzati scrittori contemporanei, uomo senza dubbio di successo, e per più di venticinque anni stimato professore presso svariate scuole parigine, era da piccolo ciò che si definisce un “somaro”. Proprio così: il classico bambino che non “ci arrivava”, quello abituato ai voti bassi, quello che genitori e insegnanti consideravano incompatibile con la scuola. E così, raccontandoci delle sue dolorose disavventure scolastiche, Pennac ci mostra non solo come ne è uscito, ma soprattutto cerca di spiegare a colleghi e genitori per quale motivo crede fermamente che nessuno sia geneticamente “somaro”. Tra critiche costruttive alla scuola, alla società e alle famiglie, consigli su come affrontare il problema e rassicurazioni varie, l’autore ci dimostra che nessuno vuole essere “una nullità”, nessuno gode nel sentirsi dire di non avere futuro. Per tutti (o quasi) i ragazzi c’è una molla che a un certo punto deve scattare e tirarli fuori dalle loro confuse convinzioni. Il lavoro difficile per un insegnante è trovare quella molla.


Autore

Daniel Pennac è uno scrittore francese nato nel 1944. Pessimo alunno fin dalle elementari, anche a causa della sua dislessia, troverà solo al liceo un professore che lo spingerà verso la scrittura, intuendo il suo potenziale. Dopo un inizio stentato, riscuote il successo con “Il paradiso degli orchi, primo capitolo di quella che sarà la saga Malaussène, scritto per una scommessa tra amici, che lo avevano sfidato a scrivere un giallo.

La sconclusionata famiglia gli porterà fortuna: seguiranno infatti “La fata carabina”, “La prosivendola”, “Signor Malaussène”, “La passione secondo Thérèse” e “Ultime notizie dalla famiglia“. Scrive anche alcuni romanzi per ragazzi, tra cui “Ernest e Celestine“, “L’occhio del lupo” e “Abbaiare stanca“. A 18 anni dall’uscita dell’ultimo libro della famiglia Malaussène, torna in libreria con “Il caso Malaussène: Mi hanno mentito”.


Recensione

Anche quando non racconta nessuna delle sue strambe storie, Daniel Pennac riesce a tenermi incollata alle pagine. E si, questo è proprio amore. Ho acquistato il libro senza leggere il contenuto, convinta che fosse un saggio sulla scuola moderna, per scoprire invece, con un mezzo sorriso, che l’autore aveva confidato al fratello Bernard di voler parlare di una specifica costante della scuola di cui poco si discute.

Annuncio a Bernard che ho in mente di scrivere un libro sulla scuola: non sulla scuola che cambia nella società che cambia, ma su una costante: la sofferenza condivisa del somaro, dei genitori e degli insegnanti.

E’ proprio da lui. Riuscire a trovare, all’interno di un discorso così complesso come quello scolastico, l’unico tema ironico e divertente, in cui mi tuffo con tutta me stessa. Perché la storia personale di Pennac è ormai nota a tutti: mai stato un bravo studente, bocciato addirittura, anche a causa della sua disortografia, finché un professore del liceo non riuscì a trovare il modo di coinvolgerlo nella sua lezione, dandogli un compito che lo riportava al livello dei suoi compagni: scrivere un racconto. Come sempre, che parli di attualità, di società, di costume, o che racconti dei suoi particolarissimi personaggi, Daniel Pennac lo fa in modo divertente, ironico, viscerale e con un linguaggio colto ma quotidiano al tempo stesso, a volte persino scurrile, come lo accusano ridendo i suoi studenti. Ascoltarlo è un piacere perché il suo modo di usare le parole (quelle che con tanta fatica ha imparato a scrivere grazie al vocabolario sempre presente al suo fianco) ti sa incantare e ti strappa più di un sorriso.

(Mia madre) Il fatto è che io andavo male a scuola e da questo lei non si è mai più ripresa. Il mio avvenire le parve da subito talmente compromesso che non è mai stata davvero sicura del mio presente.

E così ci riporta indietro, ai tempi del suo percorso scolastico, quando anche lui era considerato un somaro da tutti: genitori, insegnanti ma soprattutto da sé stesso. Sì, perché il primo che si convince di essere una nullità, di non avere nessuna possibilità di riuscita, è proprio l’alunno, che soffre per la convinzione di non “diventare nulla” e di non poter avere un futuro.

Il tempo sarebbe passato ma io avrei attraversato l’esistenza senza giungere ad alcun risultato. Di ciò, alcuni bambini si convincono molto presto e siccome non si può vivere senza passione, in mancanza di meglio sviluppano la passione del fallimento.

Se ingenuamente abbiamo creduto che questi bambini/ragazzi/adolescenti si trovassero a loro agio nel ruolo di ultimi della classe, abbiamo sbagliato. Pennac lo ricorda ancora come un periodo di fallimenti, di tentativi disperati di compiacere genitori e insegnanti e della frustrante sensazione di non far parte della classe. Ci esorta dunque, tutti, a non sottovalutare il dolore di essere esclusi da “quelli che capiscono” e a non dubitare del fatto che il somaro ne porterà i segni per tutta la vita. In questo breve testo Pennac affronta i vari tipi di genitori di quegli studenti con basso rendimento: da quelli che li difendono a quelli che li crocifiggono. Ci ricorda le difficoltà fisiche e mentali degli studenti di oggi, sottoposti a 6 ore di lezioni: 50 minuti per uscire da una materia ed entrare in un’altra; parla ai professori chiedendo loro di superare una serie di barriere sociali create dalla pessima informazione: fatti di cronaca violenta, articoli e dibattiti portano spesso a credere che tutti i ragazzi cattivi e problematici vengono dalle banlieue, dalla periferia dove confluiscono famiglie povere, difficoltose o immigrate. Un’informazione che diffonde l’idea errata che la scuola non sia capace, per questi quartieri, di fare nulla.

Ancora, Pennac sostiene l’importanza della conoscenza della lingua, della grammatica, dell’uso delle parole, che contribuiscono alla formazione culturale e personale dello studente. Uno dei pochi prof che fino all’ultimo ha costretto i suoi alunni a lunghi dettati e a testi imparati a memoria! Che agonia, lo ricordo anch’io come se fosse ieri. Eppure oggi ne sono grata alle mie maestre. Infine, una critica alla società consumistica moderna che offre a tutti i ragazzi strumenti di evasione che li mettono in contatto con il mondo al di fuori della scuola, dando loro la sensazione di essere “re” almeno all’interno della loro camera, chini su console, pc e cellulari.

(il somaro) l’avrebbe adorata, questa epoca che, se non garantisce alcun avvenire ai suoi cattivi studenti, è prodiga di macchine che permettono loro di abolire il presente! Sarebbe stato la preda ideale per una società che riesce in questa prodezza: creare giovani obesi disincarnandoli.

Insomma, attraverso passaggi spesso sconclusionati (come è suo tipico, devo dire con affetto) dallo studio della moderna società, alle problematiche sociali del paese; dai diversi tipi di famiglie francesi ai differenti tipi di insegnanti; tornando indietro a episodi esilaranti della sua infanzia, attraverso il racconto del suo cammino scolastico, Pennac srotola un discorso interessante e a volte buffo, che arriva a una domanda finale. Il somaro deve restare tale per tutta la vita oppure può guarire? Secondo il nostro amato prof ogni “sfaticato”, “fannullone”, o comunque lo si voglia chiamare, non dimenticherà mai il “mal di scuola“, che lo ha portato a odiare i professori, non potendo ottenere da loro un’occhiata di approvazione. Ma per molti di loro c’è la speranza di incontrare quell’insegnante il cui amore verso i suoi studenti riuscirà a vedere oltre la loro inadeguatezza, e che sarà capace di tirarli fuori dalla loro condizione di “zero”. E’ stata una lettura piacevole e istruttiva, che consiglio caldamente non solo a quegli alunni che non riescono a superare i loro limiti, ma soprattutto alla schiera di maestri e professori che ogni giorno si impegnano nella loro istruzione.

Prima o poi deve arrivare il giorno in cui ci si risveglia! Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata! Non siamo in una fiaba, vittime di un incantesimo!


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