
A better nightmare – Megan Freeman

Titolo: A better nightmare
Autore: Megan Freeman
Editore: Rizzoli
Genere: fantasy
Pagine: 360
Prezzo: 18,00
Trama libro
Emily ha sedici anni e vive al Wildsmoor, un istituto in cui i ragazzi trascorrono i loro giorni come ombre, mentre vengono curati dai sintomi della Grimm, la malattia che li accomuna, in una vita scandita rigidamente da regole, ordine, ripetizione e farmaci. Per Emily, tutto è iniziato da bambina, come qualcosa di strano ma bello, tra sogni e visioni incredibili che accadevano attorno a lei; fino al giorno in cui, sotto l’effetto di una delle sue allucinazioni, non ha fatto del male a qualcuno ed è stata mandata al Wildsmoor. Alla vigilia del suo diciassettesimo compleanno, per caso salta la terapia per la prima volta. A un tratto la vita si tinge di tutt’altri colori e i suoi occhi, non più annebbiati, si posano su Emir, anche lui “ospite” dell’istituto. Emir è diverso dagli altri: è brillante, vivace, dice cose che non dovrebbe dire, cose pericolose, ed Emily ne è attratta come da un magnete. Grazie a lui, Emily conosce un gruppo di ragazzi, una sorta di società segreta che rifiuta le medicine. Loro credono che la Grimm non sia una malattia bensì un dono. Così anche Emily comincia a risvegliarsi, e con lei i suoi strani poteri. Il risultato è un sogno che si avvera. Ma a volte anche i sogni più belli in un istante si trasformano nei peggiori incubi…
Recensione libro
Gli studenti del Wildsmoor si vedono e non si sentono. Gli studenti del Wildmoor dicono sempre la verità. Gli studenti del Wildsmoor sono sempre puliti e in ordine. Gli studenti del Wildsmoor non fraternizzano con i membri dell’altro sesso.
“A better nightmare” è uno di quei romanzi che fin dalle prime pagine si insinuano nel lettore, come un malessere indefinito che cresce pagina dopo pagina. Emily è un’adolescente che vive da anni al Wildsmoor, uno dei tanti Istituti specializzati nel “curare” chi, come lei, è affetto dalla Grimm: una condizione che appare presto come qualcosa di più simile a un marchio che a una vera malattia. Emily stessa sembra accettarlo senza dubbi: si considera pericolosa per se stessa e persino per la società e non dubita mai della necessità di essere sottoposta a un trattamento così rigido e alla separazione dal resto del mondo.
«Dimmi perché devo ridartele» Le sue parole mi confondono. Sappiamo tutti perché. E’ lo stesso motivo per cui siamo in questo istituto, tanto per cominciare. Perché siamo malati. Perché dobbiamo guarire. Perché, senza farmaci, siamopericolosi.
Ma basta ascoltarla mentre recita le 50 regole dell’Istituto per sentire una nota stonata: più che pazienti, questi ragazzi sembrano detenuti, sottoposti a un controllo rigido e disumanizzante. Lo stile dell’autrice è semplice e inizia in modo molto pacato, quasi volesse riflettere la condizione mentale della protagonista: rallentata, sedata, immersa in una routine priva di stimoli, scandita da farmaci e orari immutabili. Man mano che la storia procede, però, lo stile cambia, si anima, si oscura, così come la storia, che diventa sempre più crudele e violenta. Uno degli elementi più interessanti di questo romanzo è la totale assenza di narrativa fantastica nel mondo di Emily; i libri delle fiabe infatti sono stati banditi, bruciati, dimenticati. Eppure, alcuni volumi sono ancora nascosti nella biblioteca dell’istituto, e in essi Emily scopre un mondo che le era stato negato: un mondo in cui i bambini come lei, con poteri speciali, non sono mostri, ma eroi. Quella che nei libri viene definita “magia” non è una malattia, ma un dono. Come può essere?
Il percorso di Emily verso il risveglio, aiutata dai membri della “Cura” (ragazzi che hanno scelto di smettere di assumere i farmaci e sognano la fuga), è lento ma affascinante. E profondamente umano. Il romanzo si muove su un doppio binario: da un lato il viaggio personale della protagonista, dall’altro una critica feroce alla società, alla sua paura del diverso, alla sua tendenza a normalizzare l’oppressione dietro la maschera della sicurezza di tutti. Il mondo non ha compassione per i malati di Grimm, anzi li odia, prova nei loro confronti paura e disgusto. Il tema centrale della storia si scopre presto essere l’immaginazione; perché sognare, immaginare, fantasticare, tutto ciò che rende la Grimm più pericolosa perché sollecita i neuroni dei ragazzi malati, è in realtà l’atto più affascinante di cui dispone l’uomo. La fantasia, che spesso viene considerata anche dalla nostra società come una cosa futile e sciocca, è quello che muove le nostre anime. Il finale del romanzo porta con sé le domande più scomode. Chi è davvero il malvagio? Dove si trova il confine tra bene e male? Emily si ritrova di fronte alla verità più amara, nel momento in cui lo scontro sarà inevitabile: anche chi è stato oppresso può diventare a sua volta carnefice. I suoi poteri potrebbero essere una salvezza o una condanna, sta a lei scegliere. Perché forse la malvagità è insita nell’animo umano, e la cosa più difficile è decidere di non ascoltarla.
Pensavo che addentrarsi nel bosco sarebbe stato spaventoso.. Non ho bisogno di temere che qualcosa mi tenda un agguato o mi minacci, perché quel qualcosa sono io.
Una lettura intensa, profonda, che non fa leva sulla suspense o su un ritmo incalzante, ma sulla riflessione, sull’atmosfera, sulle crepe dell’animo umano. Un romanzo che consiglio a lettori di ogni età, nonostante sia diretto ai più giovani. Non aspettatevi fuochi d’artificio: aspettatevi verità scomode, domande senza risposta e un invito coraggioso a non aver paura dei propri incubi peggiori. Perché spesso assomigliano a noi stessi.
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