Ciò che inferno non è – Alessandro D’Avenia
Titolo: Ciò che inferno non è
Autore: Alessandro D’Avenia
Genere: romanzo
Editore: Mondadori
Pagine: 317
Prezzo: 13,00
Trama libro
Federico ha 17 anni, la scuola è appena finita e a breve partirà per un viaggio studio in Inghilterra, un regalo dei suoi. Lui vive nella Palermo bene, e non sa che esiste un’altra città oltre il passaggio a livello che lo separa da Brancaccio, dove quelli come lui, quelli che “parlano italiano” sono guardati con sospetto. È il quartiere di Maria, la prostituta, che deve mantenere il figlio Francesco, che sogna di diventare maestro d’orchestra; del Cacciatore, uno dei sicari di Cosa Nostra, che uccide perché ha scoperto che è il lavoro più redditizio di Palermo.
Uomo è chi fa quello che un uomo deve fare.
Di Nuccio, ventenne perduto che vuole solo compiacere Cosa Nostra, e che, galvanizzato dal potere che ha alle spalle, approfitta della sfortuna dei Palermitani per il proprio piacere. È il quartiere di una bambina silenziosa e della sua Bambola, che aspetta che il padre torni da oltre lo stretto, non sapendo che è stato vittima della mafia e non lo vedrà più. Ma soprattutto è il quartiere di 3P, il suo insegnante di religione, Padre Pino Puglisi. Il parroco di Brancaccio, incurante delle minacce, ha deciso di puntare sui bambini, prima che possano perdersi anche loro, e tenta di tenerli lontani dalla strada occupandoli in altro modo. Il suo sforzo ossessivo di trasformare alcuni locali appartenenti alla mafia in una scuola pubblica lo porterà a essere assassinato nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993.
Nel frattempo, però, Don Pino è riuscito a convincere Federico a entrare a Brancaccio per aiutarlo con i bambini. Il ragazzo attraversa quel passaggio a livello con la testa piena di domande su una vita che ancora non ha compreso, incerto su quale sia il suo posto nella vita. Il primo tentativo termina con una bici rubata, un labbro spaccato e la consapevolezza di non conoscere affatto la sua città. Rapito dagli occhi e dalla semplice e fredda tranquillità con cui Lucia, che abita nel quartiere, convive con le sue quotidiane difficoltà, Federico rinuncia al viaggio in Inghilterra per aiutare Don Pino durante l’estate. Inizia per lui una seconda vita, al fianco di un uomo pacato e tenace che lo cambierà per sempre. Ma Brancaccio non ama quelli come lui e il modo in cui gli comunicherà di restare fuori dal quartiere sarà violento e inaspettato.
Autore
Alessandro D’Avenia, classe 1977, siciliano, è insegnante di lettere presso il Collegio San Carlo di Milano e contemporaneamente scrittore e sceneggiatore. I suoi primi tre romanzi pare siano, secondo una classifica del MIUR, tra i 10 libri più amati dai ragazzi italiani. Il suo romanzo d’esordio “Bianca come il latte, rossa come il sangue” diviene subito un successo internazionale, portato al cinema nel 2013 con l’omonimo film.
Seguono “Cose che nessuno sa”, “Ciò che inferno non è” (dedicato a Padre Pino Puglisi, sacerdote palermitano ucciso dalla mafia, che è stato saltuariamente suo professore di religione al liceo), “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita” e “Ogni storia è una storia d’amore“. Personaggio particolare, il Prof 2.0, cattolico praticante e votato al celibato, dedica la sua vita ai ragazzi, occupandosi tra l’altro di volontariato, nel tentativo di arrivare a loro tramite la sua scrittura.
Recensione
Togli l’amore e avrai l’inferno. Metti l’amore e avrai ciò che inferno non è.
Sono arrivata a Alessandro D’Avenia senza aver letto “Bianca come il latte, rossa come il sangue“, il suo romanzo d’esordio fortunatissimo, e quindi non avevo idea di cosa aspettarmi. Mi piacerebbe avere le parole giuste per esprimere il mio giudizio, ma non sono all’altezza di Federico. In ogni caso ne sono uscita fisicamente provata e con la testa che chiedeva un po’ di pace (Magari qualche pagina rubata da uno dei libri per bambini delle mie figlie, che desse respiro al mio cervello esausto).
Per la prima parte del libro non so bene cosa ho letto: continuavo a pensare di aver saltato delle pagine, cercavo e ricercavo indietro i nomi di personaggi che non ricordavo, che funzione avessero e perché li avevo dimenticati. Sono stata così presa dalla fatica di capire le parole che ne ho perso il significato. E allora ho iniziato da capo, ancora e ancora. A metà libro, finalmente, ho familiarizzato con la scrittura di D’Avenia, ho imparato a dosare l’attenzione tra i paragrafi di pura narrazione e quelli di puro esercizio stilistico.
Mi piace cercare le parole giuste. Con le parole metto l’ancora a tutte le cose che se ne vanno alla deriva nel mare che è dentro il cuore, le ormeggio nel porto della testa.
Che poi, quando riesci a riaffiorare dai pensieri dello scrittore-Federico e di Federico-scrittore, la trama è anche coinvolgente. La storia che racconta, storia di mafia, di persone perbene, di sogni infranti e sogni non infranti perché mai formulati, è una storia così lontana e vicina al tempo stesso che ti cattura. Eppure apprezzare il contenuto è difficile quando perdi l’attenzione (E io l’ho persa spesso, mea culpa).
La ricerca ossessiva dell’autore di usare le parole corrette, di trovare la forma migliore per esprimere i suoi concetti, quell’uso spropositato di figure retoriche (quando ho smesso di contare ossimori e sinestesie ho rimpianto Hemingway e Melville…non me ne vogliano), e quell’inseguire l’eleganza e il preziosismo, sfiancano il lettore. La lettura è inoltre rallentata dal passaggio improvviso e mai avvertito dal narratore esterno al narratore Federico, i cui pensieri irrompono nel racconto senza stacco alcuno, lasciando la mente disorientata.
Salva il romanzo la storia, che ti entra nell’anima, se resisti all’impulso di rimettere il libro sullo scaffale. E io l’ho fatto. L’ho terminato. E ho capito perché il Prof 2.0 abbia avuto tanto successo tra i ragazzi. D’Avenia scrive a loro e li raggiunge: sa come incantarli, come arrivare alle loro paure, ai loro desideri, ai pensieri di centinaia di adolescenti che hanno vissuto da vicino o lontano le stesse emozioni. Nonostante lo abbia frequentato per poco tempo, si capisce dal modo in cui lo racconta che Padre Puglisi ha lasciato nello scrittore una traccia indelebile. E la sua bravura nel tratteggiare questa figura potente e delicata è indiscussa.
E’ una storia commovente, dura, crudele, fin troppo reale, che lascia però un messaggio di speranza. La possibilità che non tutto sia perduto, che ci sia redenzione dietro il buio e luce per quelli che la cercano. Che in luoghi come Brancaccio, dove Cosa Nostra è padrona, ci siano anche persone buone che hanno fatto le scelte giuste, nonostante l’ambiente sbagliato. Persone che continuano a credere che sia possibile cambiare le cose, come sosteneva Don Pino.
Se nasci all’inferno hai bisogno di vedere almeno un frammento di ciò che inferno non è per concepire che esiste altro.
Ma per cambiare le cose, devi accorgerti che sono sbagliate. Devi essere attento a quello che ti succede intorno, alle persone che conosci e soprattutto a quelle che non conosci. Alla vita, quella reale, quella che ti circonda, ora, nel presente. Che a volte è un paradiso, ma altre un inferno. E’ da una frase di Italo Calvino che D’Avenia prende il titolo del suo romanzo.
cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Così Don Pino scava nell’inferno di Brancaccio e trova ciò che ancora non è perduto: i bambini. Ai quali cerca disperatamente di insegnare che c’è sempre un’altra scelta, che esiste un mondo diverso da quello che gli è stato offerto e che possono essere loro gli artefici del proprio destino. Datevi tempo per leggere questo romanzo, non abbiate fretta o rischierete di perderne il significato. La seconda parte del libro, quella in cui la mente di Federico si placa e la storia è più scorrevole, è sicuramente quella più interessante. Che alla fine, dopotutto, è la storia del nostro paese; è la storia che abbiamo creato noi ed è giusto conoscerla.
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