Non mi uccidere – Chiara Palazzolo
Titolo: Non mi uccidere
Autore: Chiara Palazzolo
Editore: Sem Libri
Genere: horror
Pagine: 397
Prezzo: 17,00
Trama libro
Mirta è perdutamente innamorata di Robin, anche se lui è molto più grande di lei, anche se ha avuto una vita disagiata e ancora ne sta scontando le conseguenze. Anche se non riesce a smettere di fare uso di droga e Mirta ha paura che possa passare il limite e lasciarla sola. Così condivide con lui anche questa cosa, l’eroina, pur odiandola. E quando Robin le dice che se dovessero morire si ritroverebbero insieme dall’altra parte, lei ci crede. Una promessa d’amore è una cosa seria. Ed eccola lì, ora, sporca di terra, fango, frastornata e impaurita, mentre aspetta davanti alla tomba del ragazzo che lui esca, come ha fatto lei. Perché quell’ultima dose è stata fatale e Mirta e Robin sono morti.
Mirta è tornata. Ha rispettato la promessa. Perché Robin non ci riesce? Mirta aspetta, e aspetta , e aspetta. E nel frattempo diviene sempre più debole, si sposta solo di notte tra le colline umbre per non farsi notare, resta appollaiata su una quercia del cimitero, in attesa del suo Robin. Nei suoi vagabondaggi notturni ha scoperto di avere degli straordinari poteri, ma ogni giorno diviene più pesante, la solitudine la sta facendo diventare pazza e le forze diminuiscono. Quando scende in paese per svagarsi almeno per una notte, non può immaginare quanto ha bisogno di mangiare. Ma niente ha sapore. Tutto è così strano. Tranne quel ragazzo conosciuto in discoteca, che odora così tanto di latte e miele. E finalmente Mirta, che ora è diventata Luna, capisce come può sopravvivere. Mentre i giorni passano, e gli omicidi aumentano, Luna si accorge che in paese sono comparse delle strane berline nere che sembrano seguire le sue tracce, e restare nell’ombra diviene adesso sempre più difficile.
Autore
Chiara Palazzolo (1961/2012) è stata una scrittrice italiana. Laureata in Scienze Politiche ha collaborato con diverse testate giornalistiche, prima di dedicarsi alla scrittura. Esordisce con “La casa della festa“, per poi partecipare al Premio Strega con “I bambini sono tornati“. Ma conquista il pubblico con la trilogia di Mirta/Luna, dove al classico genere fantasy/horror unisce un esperimento linguistico che la caratterizzerà da quel momento: nascono così “Non mi uccidere”, “Strappami il cuore” e “Ti porterò nel sangue“. Nel 2011 il romanzo “Nel bosco di Aus” riscuote un enorme successo. Nel 2012 la scrittrice muore dopo una lunga malattia.
Recensione
Quando ho terminato la lettura di questo romanzo ho dovuto prendermi del tempo per assimilare quello che avevo letto e organizzare i pensieri: tanti, confusi, stravolti e nuovi. Ora, a mente fredda, posso dire che non credo di aver mai letto nulla di simile. Non ho mai incontrato una scrittura come quella di Chiara Palazzolo e temo che non mi capiterà più. Voglio premettere il mio giudizio personale sull’opera prima di raccontarvela: io l’ho apprezzata moltissimo e ho intenzione di proseguire presto con i successivi capitoli. Ma “Non mi uccidere” non è, a mio parere, un libro per tutti. Ho letto opinioni molto contrastanti, che si concentrano tutte sullo stile di scrittura. Indubbiamente, al di là della trama, la penna della Palazzolo è assolutamente originale, diversa, nuova, quasi un esperimento stilistico deciso fin dall’inizio e proseguito per tutto il romanzo; che è poi l’elemento che lo renderà per sempre differente dai suoi simili in libreria.
“Non mi uccidere” è un unico, lunghissimo, interrotto monologo dove Mirta/Luna è la protagonista assoluta, narratrice in prima persona della storia, che riferisce le frasi degli altri personaggi unendoli alla narrazione senza l’uso di virgolette o di alcun tipo di punteggiatura, mescolandole ai suoi pensieri. È una narrazione spezzata, concisa, veloce, tremolante, che inizia frasi che spesso non vengono terminate. Parole singole. Frasi brevissime. Un ritmo sincopato, pieno di ripetizioni, ossessivo e per questo catalizzante. Non nascondo di aver faticato all’inizio ad adattare il mio cervello a quello di Mirta e ad allineare i nostri pensieri. Ma dopo i primi capitoli il suo modo di pensare ti entra nel sangue e non ti accorgi più dello stile, perché lo hai assimilato, e le emozioni di Mirta/Luna le stai vivendo anche tu: sei su quella quercia, sporca di fango, ad aspettare tra i rumori della notte; sei nelle valli umbre a correre tra gli alberi; sei nel casolare ad aspettare che il tempo passi, lento e sempre uguale. Ho trovato la sua scrittura non solo innovativa, goticamente tetra e dark, ma sono anche convinta che abbia saputo raggiungere l’obiettivo: creare la giusta tensione in un modo nuovo, non più basandosi su descrizioni efferate degli eventi, ma reiterando all’infinito i pensieri di Mirta, le sue emozioni e le sue paure.
Un colpo tra le costole. Mi spezzerebbe il fiato se solo. Affondo. Nel collo. Mordendo. Lottando. Contro questa cosa che si agita. Dentro questa cosa di miele e latte. Sotto la luna. Latte. Miele. Fame. Afferro . Stringo. Di nuovo, giù. Affondo. Nella gola. Un mare di urla.
E’ un viaggio allucinogeno nella mente della ragazza, dove una serie di frasi tornano in maniera ossessiva a tormentarla, come se fosse un modo per convincere se stessa di quello che sta accadendo (“ho spostato la lapide come fosse una coperta pesante”, “il corteo di berline nere”, “la bottiglia d’acqua che prima non c’era”). Il ritmo diviene più pacato quando Mirta rivive attraverso numerosi flashback il suo rapporto con i genitori e con Robin, per poi tornare caotico e spezzato quando la ragazza perde il controllo di se stessa e si lascia andare alla violenza. Oltre a uno stile tanto peculiare, mi è piaciuto l’uso di due figure così diverse per un horror: i benandanti e i sopramorti. L’ordine dei benandanti è già presente in molta letteratura (io l’ho trovato da poco in “Luna Nera” di Tiziana Triana”): si tratta di congreghe di prescelti, legati alla Chiesa, che già in epoche lontane avevano il compito, nel nostro paese, di proteggere villaggi e raccolti dalle streghe. Si racconta che fossero addirittura in grado di vedere i morti. In questo primo volume non sappiamo nulla di queste figure, se non che stanno inseguendo Mirta; mi aspetto quindi che acquistino maggior spessore nel prossimo capitolo.
Quella dei sopramorti, invece, è una figura nuova e originale, che non è né zombie, né vampiro: un essere che torna dal mondo dei morti e che per “durare”, come dice Mirta, ha bisogno di mangiare i vivi. Il cambiamento di personalità da Mirta a Luna è una delle cose più interessanti del romanzo: Mirta non è la classica eroina, non è una protagonista positiva, non è la povera vittima di un fidanzato malato, anzi il lettore arriva quasi a detestarla, senza farlo mai veramente. Mirta si ritrova improvvisamente a dover fronteggiare il mondo dei vivi, che inizialmente le sembra sbagliato, malato, finché non si rende conto che forse lei non è così buona come credeva; forse Luna è sempre stata nascosta sotto i suoi vestiti e aspettava solo di poter uscire.
Di quando credevo che tutti fossero, al fondo, naturalmente buoni. E io più di tutti.
Dal momento in cui esce dalla tomba, Mirta ha un solo pensiero: attendere che Robin si svegli per poter essere finalmente “morti felici“. L’amore tra i due era talmente forte che si sono promessi di ritrovarsi dopo la morte e Mirta ha accettato di condividere il lato oscuro di Robin solo per poterlo controllare, per evitare che si lasciasse andare, se lei non fosse stata lì a fermarlo. Non poteva pensare di perderlo e per questo si è affidata completamente alla sua follia.
La odio questa roba, ma non c’era altra strada per cementare il nostro amore. Perché il mio non è mai stato un amore da nulla. Io voglio tutto. Senza sconti.
E anche ora che Mirta è stata sopraffatta dalla morte e ha dovuto lasciare che Luna, il suo alter ego, prendesse il comando della nuova situazione, il suo unico interesse è sempre capire perché il suo amato Robin non si sveglia. E attendere ancora, legata a quel monte dal quale non riesce ad allontanarsi.
Io sono diversa. Sono Luna. E Luna è un’altra cosa. Un’altra cosa che comunque ha lo stesso, identico problema di Mirta. Robin è il problema.
Il finale del romanzo mi ha lasciata con la morbosa curiosità di sapere cosa accadrà ora a Mirta/Luna; e anche se la lettura può risultare in alcuni punti complicata, vi consiglio di non demordere perché alla fine vi trascinerà in un abisso di violenza, paura e ansia dal quale non avrete più voglia di emergere. Perché ci sono tante cose da scoprire, tanti segreti da svelare, tante nuove verità da accettare. Ma ora che finalmente non è più sola, a parlare con un fantasma e un gatto selvatico, nel buio di notti insonni, forse Mirta/Luna potrà trovare alcune delle risposte che cerca. Deve solo restare nascosta nell’ombra. Mangiare poco. Fidarsi dei sopramorti ed evitare i benandanti. E, intanto, aspettare ancora Robin.
Ho chiuso gli occhi e lui ha detto: ritorneremo. La volontà è più forte della morte. L’amore è volontà.
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