L’ira funesta – Paolo Roversi

L’ira funesta – Paolo Roversi

Titolo: L’ira funesta

Autore: Paolo Roversi

Editore: Sem Libri

Genere: thriller/giallo

Pagine: 261

Prezzo: 15,00


Trama

Nella Bassa mantovana, in un paesino che tutti chiamano soltanto il Piccola Russia per il suo orientamento politico nei decenni precedenti, è un giorno qualunque della calda estate di pianura. Uno di quei giorni in cui non succede mai nulla, in cui tutto il paese è rintanato alla Polisportiva, centro di ritrovo di tutto il circondario, da dove i compaesani possono tenere sotto controllo ogni singolo avvenimento. Eppure sotto il sole impietoso di luglio, davanti a una squadra di carabinieri stralunati e a dei vecchietti che se la ridono, qualcosa accade davvero.

Il Gaggina, un omone grosso come un armadio, conosciuto per essere un po’ “strano”, si presenta a torso nudo con una katana in mano, a sfidare le forze dell’ordine, urlando frasi sconnesse in un tedesco improvvisato, e minacciandoli tutti di morte in modo piuttosto colorito. E mentre il maresciallo Valdes, chiamato sul posto per risolvere la situazione, se ne rimane beatamente in disparte a osservare come il paese e i suoi sottoposti interagiscano col matto, un fattaccio di più grande impatto lo attende tra l’erba del canale che corre fuori dal Piccola Russia.

E’ il cadavere di Giuanìn Pella, rientrato il giorno prima dall’America dopo più di trent’anni. Ucciso con un’arma da taglio. Una spada, a quanto pare. Così, mentre il Gaggina si barrica in casa con quelli che sembrano due ostaggi, il maresciallo Valdes si rende conto di aver sottovalutato una situazione che potrebbe diventare preoccupante, soprattutto se arrivasse alle orecchie della stampa. Ma è un piccolo paesino dove, si sa, le notizie corrono veloci.


Autore

Paolo Roversi è uno scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano. Studioso di Charles Bukowski, al quale ha dedicato tre libri tra cui “Taccuino di una sbronza“, è conosciuto per i suoi noir metropolitani, soprattutto i gialli incentrati sul giornalista hacker Enrico Radeschi. Tra i vari titoli ci sono “La marcia di Radeschi”, “La confraternita delle ossa“, “Cartoline dalla fine del mondo“. Tra gli altri suoi romanzi “Milano criminale”, “L’ira funesta“, “Solo il tempo di morire“, e “Black money“.


Recensione

Una storia quando è ben raccontata, non va interrotta. E non importa nemmeno che sia vera, ci si accontenta del verosimile e dell’intrigo. Soltanto una cosa non si può perdonare a un buon narratore: la pedanteria e la scontatezza, il resto passa in cavalleria.

E basterebbe anche questa frase a esprimere tutto il mio apprezzamento per questo autore che non conoscevo e che, fidatevi, è stata una sorpresa più che felice. Ne sono rimasta folgorata. Non solo dall’intreccio, che ha i suoi pregi notevoli, ma soprattutto dallo stile e dai personaggi che riesce a creare. Paolo Roversi ha una scrittura ironica, frizzante, ricca di sarcasmo e divertente, anche all’interno del genere giallo. Non amo fare paragoni tra scrittori, ma dopo poche pagine ho avuto la sensazione di ritrovare alcuni aspetti del caro maestro Benni: quel modo di descrivere l’Italia provinciale che ti strappa di continuo un sorriso; quella maniera ingenua e velata di raccontare la quotidianità curiosa e un po’ eccentrica degli italiani dei piccoli paesi, quella che ti fa ridere perché pur nella sua esagerazione sai che è vera.

La narrazione ha la caratteristica di passare da un personaggio all’altro, mostrando nei vari capitoli cosa sta succedendo nello stesso momento nelle varie parti del paese, portando avanti una serie di vicende parallele che poi, alla fine, si riuniranno per l’epilogo. È una struttura intrigante, scorrevole e coinvolgente. Ma la grande forza del romanzo sta secondo me nei personaggi creati da Roversi: protagonisti strambi, eccessivi, curiosi e divertenti, che restano impressi nella memoria e ti trascinano immediatamente al centro della storia.

Un ragazzone di centotrenta chili, alto come un trattore, con la testa incassata fra le spalle, due occhi piccoli da insetto e il carattere dell’attaccabrighe di professione. Capelli rasati e salopette in jeans portata con bretelle sul petto nudo.

Figure comuni che acquistano un posto di rilievo nella semplice e tranquilla routine provinciale: dal sindaco in ciabatte al bar della Poli, al postino chiacchierone; dai vecchietti che passano le giornate afose con i piedi a mollo nella pozza della Polisportiva, all’unico farmacista, reo di aver causato l’intera vicenda solo per aver chiuso la farmacia mentre la moglie stava partorendo.

E sotto tutta l’ironia con la quale l’autore ci diverte, mentre il maresciallo e l’intero paese cercano di risolvere l’omicidio, si intravede una certa critica, o forse solo una descrizione che non vuole giudicare, di alcuni aspetti del nostro paese. Anche se sorridiamo davanti ad alcune credenze e convinzioni popolari delle vecchie generazioni, ci rendiamo conto infatti che è difficile smantellarle, anche oggi nell’epoca del politicamente corretto.

Prima dell’argine si trova un’osteria dal nome particolare: Le fate ignoranti. Per gli abitanti del borgo la logica conseguenza era che l’oste fosse omosessuale.

«Andiamo al Piccola Russia, dal Duilio». Facevano in modo, insomma, di non pronunciare il nome del locale, vedi mai – mentalità paesana – che pure loro per una qualche proprietà transitiva potessero venir accusati di essere ricchioni.

Allo stesso modo possiamo notare la critica rivolta a una certa parte di stampa che ancora sceglie il taglio degli articoli sulla base delle richieste di mercato, di quello che fa più scalpore, anche a costo di modificare leggermente la realtà per renderla più attraente. Nel romanzo ci sono richiami continui a una dimensione più vasta, che esce dalla comunità del Piccola Russia, e ci riporta alla vita quotidiana delle grandi città, dove ormai lo stile di vita dei piccoli paesi è stato dimenticato e offuscato da una modernità che non lascia scampo. Eppure, alla fine, dal mondo più vasto molti tornano al paese, come i protagonisti di Roversi, a cui manca il bar, mancano le chiacchiere, manca la sincerità dei compaesani e quel senso di comunità che non c’è fuori.

Così il mondo, quello che luccica, finisce per darti del provinciale per sempre. Un’etichetta che la gente della Bassa si porta addosso senza vergogna, anzi, con orgoglio, perché sa come va il mondo. L’Italia, l’Europa, il Piccola Russia: tutti siamo periferia.

Personaggi strepitosi, conosciuti solo con il loro soprannome, che se vuoi sapere come si chiamano davvero devi andare all’anagrafe, perché nessuno lo ricorda più. Protagonisti con i quali familiarizzi presto e che subito acquistano corpo e solidità: dal folle Gaggina, vestito con un kimono, che non farebbe male a nessuno, alla vecchia nonnina pazza, la Bluchen, al postino Nestore, al giovane Skègia o al Brigadiere Puglisi, che conosce la storia di tutti gli abitanti del Piccola Russia. Persino il maresciallo Valdes, con il suo passato burrascoso del quale non posso parlare, o la giornalista Giulia, cacciata da Lampedusa perché non riesce ad adeguare i suoi articoli alla necessità del giornale, convinta sostenitrice della libera informazione.

Insomma, un giallo che ti trasporta verso la fine senza che te ne accorga, impossibilitato come sei a smettere di leggere. Una trama che si dipana con calma, intrigante e coinvolgente, verso un finale che non si può prevedere. Un romanzo imperdibile per gli amanti del genere, ma anche e soprattutto per chi ama veder tratteggiata la nostra piccola provincia con le sue stranezze e la sua solidarietà paesana, tra un bicchiere di vino e una partita a carte, sotto un cielo più blu e ricco di stelle.


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