Nel mare ci sono i coccodrilli – Fabio Geda

Nel mare ci sono i coccodrilli – Fabio Geda

Titolo: Nel mare ci sono i coccodrilli

Autore: Fabio Geda

Editore: Baldini + Castoldi

Genere: romanzo

Pagine: 151

Prezzo: 12,00

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Trama

Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l’incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l’Iran, la Turchia e la Grecia. Un’odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l’ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età. Questa è la sua storia.


Autore

Fabio Geda è uno scrittore ed educatore italiano. Dopo aver lavorato per dieci anni come educatore dei servizi sociali, ha iniziato a scrivere romanzi in cui parla proprio dei ragazzi e delle loro storie travagliate. Nel 2010 arriva il successo con “Nel mare ci sono i coccodrilli”, seguono poi “Se la vita che salvi è la tua”, “L’estate alla fine del secolo”, “Anime scalze“, più una serie di libri per ragazzi.


Recensione

Era da tempo che volevo leggere questo libro e ora che l’ho fatto mi è difficile parlarne. Sapevo bene a cosa stavo andando incontro, non è il primo romanzo che leggo sui profughi di vari paesi. Ma ammetto che già dall’incipit ho sentito una morsa al cuore e un gelo ovunque. Forse perché il protagonista è solo un bambino di nove anni (o forse dieci, Enaiatollah non lo sa di preciso, perché non è fondamentale tenere il conto degli anni che passano quando si vive cercando di arrivare al giorno dopo). Forse perché la sua storia comincia con l’abbandono da parte di sua madre, che risulta insieme tragico e profondamente toccante. Credo ci sia voluto solo il coraggio e l’amore di un genitore per decidere che era meglio allontanare il piccolo Enaiat dal suo paese, abbandonandolo a se stesso e a un futuro incerto, piuttosto che tenerlo con sé e condannarlo a una morte sicura. La prima cosa che ho apprezzato del libro di Fabio Geda è stata la scelta di far parlare direttamente lui, Enaiatollah Akbari, che racconta la storia come se fosse ancora bambino e l’avessi appena vissuta. Ci sono alcuni momenti, durante la storia, in cui autore e protagonista dialogano brevemente che rendono la storia ancora più reale e toccante.

Attraverso il racconto della fuga di Enaiat dall’Afghanistan, Fabio Geda ci racconta un paese in lotta con se stesso, dove la sua stessa popolazione è divisa e in balia del folle comando dei talebani. Mi ha colpito come Enaiat sia consapevole e dispiaciuto che all’estero, per molte persone, essere afgano è sinonimo di essere talebano. Eppure la differenza per Enaiat è così tragica che può essere racchiusa proprio in una frase di scherno che sente spesso dai talebani.

C’è un detto tra i talebani: ai tagiki il Tagikistan, agli uzbeki l’Uzbekistan, agli hazara il Goriston. Questo dicono. E Gor significa tomba.

E come hazara (una delle popolazioni afghane) Enaiat non ha futuro all’interno del suo paese: può essere reclamato in qualsiasi momento per pagare un debito della sua famiglia, oppure fucilato davanti a tutti per avere espresso la sua opinione, come capita un giorno al suo maestro di scuola. Ma la madre ha fatto al piccolo ragazzino due regali: portarlo oltre il confine, lontano dalla sua famiglia, e insegnargli a rincorrere il sogno della libertà.

Un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi. È nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e se un desiderio lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena.

Il viaggio del piccolo Enaiatollah dall’Afghanistan, attraverso l’Iran, la Turchia e la Grecia fino all’Italia, dura dieci anni, ed è costellato di paura, fame, povertà, sofferenza, solitudine e grande fatica. Essere clandestino in un paese straniero significa non avere la libertà di esistere, di vivere una vita normale, di passeggiare per la strada, nemmeno la libertà di ammalarsi.

I trafficanti, be’, loro non potevano portarmi all’ospedale o da un dottore, è chiaro. E’ il più grande problema di essere clandestini, questo: sei illegale anche nella salute.

Mi ha colpito molto che il più grande cruccio di questo ragazzino sia stato quello di non poter controllare il tempo che passava, motivo per cui ha il desiderio costante di comprarsi un orologio. Enaiat subisce il dolore di non vedere quanto sta crescendo e invecchiando, di non poter dare un significato al tempo che scorre. Perché per lui, profugo, il tempo scorre in maniera differente: sembra più lento perché le giornate, le settimane, i mesi, sono tutti uguali; ma allo stesso tempo scorre più velocemente, perché passano gli anni e lui è sempre nella stessa situazione di pericolo, e se guarda indietro non vede nulla che gli ricorda di aver vissuto davvero.

Di certo non c’è nulla.

Il tempo lo è, Enaiat. Scorre alla stessa velocità in ogni parte del mondo.

Dici? Sai, Fabio, non ne sarei così sicuro.

Che posso dire? Di sicuro c’è tanta tristezza in queste pagine, ma rispetto ad altri romanzi che ho letto su questo argomento, devo dire che è una tristezza infusa di dolcezza. Se è vero che a noi che stiamo leggendo apre gli occhi su situazioni scomode che è più facile ignorare, è anche vero che Enaiatollah oltre alla sofferenza e al pericolo continuo a cui sono sottoposti i profughi, scopre anche che esistono persone di buon cuore. Alla fine sono riuscita anch’io a vedere qualche briciola di positività e di speranza: nel proprietario della bottega che gli offre di dormire sul pavimento, nella vecchia signora greca che gli regala vestiti e soldi per il biglietto del treno. Persone che non ha mai visto e che non conoscono la sua storia, ma che leggono sul suo viso di ragazzino la sofferenza e decidono di aiutarlo. Un messaggio di speranza quindi, per tutti quelli che cercano un futuro migliore di quello che il loro paese può offrire, e un invito a noi a non girarsi dall’altra parte. E’ una storia delicata, spesso triste, ma allo stesso tempo dolce e piena di forza; quella che Enaiat ha avuto di tenere il suo sogno davanti ai suoi occhi e non dimenticarlo mai.


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