Se questo è un uomo – Primo Levi

Se questo è un uomo – Primo Levi

Titolo: Se questo è un uomo

Autore: Primo Levi

Editore: Einaudi

Genere: autobiografia

Pagine: 214

Voto del Pubblico (IBS): 3,8 su 5

Prezzo: 10,49


Trama

È il 13 dicembre del 1943. Primo Levi ha 24 anni quando viene arrestato dalla Milizia fascista che lo strappa ai boschi dove si nascondeva con gli altri partigiani, e commette un errore ingenuo ma definitivo: piuttosto che dichiararsi militante antifascista ammette la sua condizione di cittadino di razza ebraica. È l’inizio di un incubo che durerà più di un anno. Stipato su un convoglio con 650 italiani ebrei, viene deportato nel campo di concentramento polacco di Auschwitz. Gli uomini vengono subito divisi da donne e bambini, che non vedranno più, e costretti a lavorare nel Lager. Fin da subito Levi capisce che non c’è via di ritorno: quelli che non vengono uccisi all’istante moriranno comunque di freddo, fame, malattie, percosse o sfortunate coincidenze.

La vita nel campo si dimostra finalizzata a un unico scopo: annullare l’uomo prima di ucciderlo, distruggere la sua dignità, svilirlo e degradarlo. Ai detenuti vengono tolti tutti gli oggetti personali, i vestiti e le scarpe, e gliene vengono consegnati di nuovi: stracci vecchi usati più volte che non bastano neanche a ripararli dal freddo. Viene loro tolto anche il nome: d’ora in poi saranno solo un numero tatuato sul braccio. Il cibo è poco e spesso viene barattato con un cucchiaio per poter mangiare la zuppa o un pezzo di stoffa per fasciare i piedi sanguinanti. Si dorme in cuccette di legno occupate da due persone, ci si lava con acqua fredda e il più delle volte sporca, si lavora fino allo sfinimento delle forze e al disfacimento del corpo.

In questa vita non-vita non esistono amicizie, non si pensa al futuro, gli Häftlinge, i prigionieri, non provano nemmeno più solidarietà l’uno per l’altro e vige un’unica regola: arrivare alla sirena della sera che mette fine alla giornata e li fa rientrare nelle cuccette. E quando uno di loro tenta di boicottare il Crematorio di Birkenau e viene impiccato davanti a tutto il campo, nessuna voce si alza a difenderlo. È in quel momento che Levi capisce che il Lager ha raggiunto il suo proposito: quello era l’ultimo “uomo”, loro non lo sono più.

Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi…da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.


Autore

Primo Michele Levi (Torino 1919-1987) è stato scrittore, partigiano e chimico italiano, autore di opere divenute famose in tutto il mondo. Riesce a laurearsi in chimica con grandi difficoltà, a causa delle nuove leggi razziali che discriminavano fortemente i cittadini di razza ebraica. A Milano, dove inizia a lavorare per una fabbrica di medicinali e a scrivere i suoi primi racconti, viene a contatto con gli ambienti antifascisti e poco dopo si rifugia sulle montagne della Val d’Aosta insieme ad altri partigiani. Lì viene scovato dalle autorità fasciste e mandato prima in un campo di raccolta a Fossoli e poi deportato nel campo di concentramento di Auschwitz.

Dei 650 ebrei italiani, tra uomini, donne, vecchi e bambini, che partono sul convoglio diretto in Polonia, Levi sarà uno dei 20 che vedranno la liberazione nel 1945 da parte dell’Armata Rossa. Tra le tante coincidenze che lo hanno salvato, ha avuto un peso la sua conoscenza della chimica, che gli ha valso un lavoro presso un laboratorio del campo dove contrabbandava articoli in cambio di cibo.

Tornato in Italia si dedica con impegno al racconto dei fatti accaduti nel Lager in un romanzo intitolato “Se questo è un uomo”, che inizialmente non ha un riscontro positivo. Solo qualche anno dopo Einaudi lo ristampa ottenendone un successo strepitoso. Rinfrancato dalla riuscita del libro, scrive “La tregua”, “Il sistema periodico”, “La chiave a stella”, e “Se non ora, quando?”. Nel 1987 viene trovato morto alla base della tromba delle scale della sua casa di Torino. Le circostanze della morte portano a credere che si sia suicidato: a causa dei ricordi tormentosi e strazianti del Lager e del probabile senso di colpa per essere sopravvissuto, soffriva da tempo di depressione, ma aveva dovuto interrompere i farmaci a causa di un intervento.


Recensione

Ho letto “Se questo è un uomo” più volte nella mia vita, e ogni volta è come se fosse la prima. Credo sia perché la natura umana non ama ricordare momenti così brutti della propria storia. E un po’ anche perché a ogni età diversa ti colpiscono dei particolari differenti. In ogni caso, a ogni lettura questo libro mi stupisce per l’assurdità degli eventi e per la mia incapacità di capire. Se i tedeschi avessero semplicemente giustiziato tutti i prigionieri, la cosa avrebbe avuto un impatto minore sulle nostre menti. Ma la volontà calcolata di tenerli segregati in un campo per mesi o anni, togliendo loro tutto quello che fa di un uomo un essere umano pensante, questo non lo posso comprendere.

Levi indaga spesso se stesso e gli altri, formulando degli interrogativi ai quali forse non ha mai saputo dare una risposta. Da dove nasce tanto odio? Come può l’uomo ridurre l’uomo a un simile stato di degrado? Perché i Lager non sono stati costruiti, come afferma infatti l’autore, per uccidere il nemico, che quello avrebbero potuto farlo benissimo nei campi con una fucilazione di massa, come spesso avveniva.

Il campo di concentramento ha lo scopo primario di “annullare” l’uomo, distruggerlo come essere umano, azzerare la sua dignità… e poi ucciderlo. Ma per far questo occorre una dose di odio che non ha riscontro in nessun’altra guerra. Uomini che fino a pochi mesi prima avevano vissuto come normali vicini di casa, ora diventano freddi assassini che non provano pietà, né rimorso, per le torture che stanno infliggendo. Anche per i detenuti la situazione è così assurda che “la saggezza dei vecchi prigionieri diventa il non cercar di capire“.

Leggendo il testo si capisce quanto sia costato a Levi raccontare tutte le verità; non solo quelle che colpevolizzano i tedeschi per le atrocità commesse, ma soprattutto quelle che accusano se stesso e i suoi compagni per aver ceduto. La loro dignità è stata spezzata, la loro individualità cancellata; un anno di Lager li ha portati a toccare un fondo dal quale forse non tutti i superstiti sono mai risaliti. La vita ad Auschwitz ha comportato

una lotta estenuante di ciascuno contro tutti, e una somma non piccola di aberrazioni e di compromessi.

Lo spirito di sopravvivenza è l’altro grande tema di questo libro. Un desiderio di vivere che tormenterà lo scrittore per tutta la vita, a causa delle implicazioni che ha avuto nel Lager. Oltre alla personale dignità, quello che i tedeschi sono riusciti ad annullare è stato il desiderio di aiutare il prossimo.

Mangia il tuo pane, e, se puoi, quello del tuo vicino.

Per poter sopravvivere fino al giorno successivo, a volte occorre passare sopra al prigioniero che ti sta a fianco; si perde all’interno del campo la distinzione tra bene e male: esiste solo il vivere o il morire. Eppure allo Häftling bastano poche settimane per comprendere questa amara realtà che spezza non solo amicizie e conoscenze, ma soprattutto l’anima.

Primo Levi scrive in un italiano colto ed elegante, il che rispecchia la sua buona istruzione. La scrittura è veloce e spezzata, con frasi brevi, si vede che non deve intrattenere il lettore ma mostrargli ciò che i suoi occhi hanno visto, quello che le sue orecchie hanno udito. Alcune parti del racconto sembrano scritte velocemente, con frenesia, con un passaggio dal tempo presente al passato che a volte lascia il lettore perplesso; è come se Levi volesse imprimere sulla carta ogni singolo ricordo prima di dimenticarlo. C’è un’urgenza nella sua scrittura data da una necessità quasi fisica di non tralasciare nessun particolare, nessuna emozione, nessun dolore, nessuna delle piaghe che hanno martoriato i suoi piedi stanchi. Ne deriva uno stile molto descrittivo, secco, ma essenzialmente realista, che si attiene ai fatti senza romanzarli.

Ogni capitolo descrive un aspetto particolare della vita nel campo: l’infermeria, i Blocks, il lavoro in Buna; e mentre ce li mostra rivive con noi la vita di tutti i giorni, ma senza dargli un ordine preciso, semplicemente raccontandoli nell’ordine in cui li ha ricordati quando ha cercato di fissarli sulla carta. Come egli stesso sostiene, d’altronde, il tempo nel Lager si è fermato, scorre in modo diverso da fuori. Il prigioniero non guarda più al domani, ma solo all’oggi, non esiste futuro se non quello delle prossime ore.

Qui è così. Sapete come si dice «mai» nel gergo del campo? «Morgen früh», domani mattina.

Se questo è un uomo” è un testo essenziale nella crescita dell’umanità; è un monito per le generazioni future, un appello a non dimenticare. Non dimenticare che l’uomo, quando ha voluto, è stato capace di trattare il suo simile come fosse una bestia costringendolo non solo a scordare se stesso, considerandosi appena un numero tatuato, ma anche a venir meno a tutti quei principi umani secondo cui era cresciuto. È la descrizione di un odio senza pari che non trova motivazione né giustificazione.

La conoscenza a volte può essere dolorosa ma credo sia nostro dovere leggerlo. Almeno per rispetto di quanti non sono tornati e del dolore e dello sforzo che lo scrittore avrà fatto per descrivere un anno di buio, un anno di vita rubata.