Spingendo la notte più in là – Mario Calabresi

Spingendo la notte più in là – Mario Calabresi

Titolo: Spingendo la notte più in là

Autore: Mario Calabresi

Editore: Mondadori

Genere: autobiografia

Pagine: 125

Voto del Pubblico (IBS): 4,8 su 5

Prezzo: 11,00

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Trama

E’ il 1969 quando la strage di Piazza Fontana divide e spaventa l’Italia. E’ l’inizio degli anni di piombo, dell’attivismo politico esasperato, delle Brigate Rosse e delle stragi terroristiche. Il Commissario di Polizia Luigi Calabresi partecipa agli interrogatori sulla bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura, durante i quali uno dei sospettati, l’anarchico Giuseppe Pinelli, muore cadendo da una finestra. La campagna mediatica contro Calabresi, considerato responsabile della morte di Pinelli (nonostante fosse stato completamente assolto), porterà al suo assassinio, il 17 maggio 1972 ad opera di gruppi armati dell’estrema sinistra.

Il figlio Mario Calabresi ripercorre in queste 125 pagine tutto quello che accadde dopo: i vari processi, le condanne, le grazie, la vita spezzata della sua famiglia, il tentativo di non dimenticare un uomo morto per gli ideali altrui. Passando da alcuni episodi di vita privata, prima e dopo l’omicidio, a momenti di vita pubblica, da un governo all’altro, Calabresi ci racconta la tragedia di tutte quelle famiglie che negli anni del terrorismo persero i loro cari.

In cerca forse di solidarietà nei confronti del suo dolore, di capire i meccanismi di quel decennio, lo scrittore colleziona articoli di giornale, foto, interviste, unendo la sua storia a quella di tante altre: da quella di Antonio Custra, poliziotto ucciso nel 1977 mentre prestava servizio durante una manifestazione di militanti, a quella di Luigi Marangoni, direttore sanitario del policlinico di Milano, assassinato nel 1981 per aver denunciato alcuni sabotaggi all’interno dell’ospedale; o ancora quella del Professor Marco Biagi, ucciso nel 2002 dalle Nuove Brigate Rosse.

Tutte queste famiglie, compresa la sua, pur essendo state distrutte dal terrorismo hanno saputo tenere stretto il loro dolore ricostruendosi e non perdendo la speranza nella vita. Famiglie a volte abbandonate dallo Stato, a volte omaggiate, ma più spesso lasciate sole allo sbaraglio, a fare i conti con un paese che non era pronto a capire l’entità del danno subito. Ma tutte hanno cercato di non coltivare odio, sperando solo in un poco di giustizia e tentando disperatamente di non far cadere i loro morti nell’oblio della storia.


Autore

Mario Calabresi è giornalista e scrittore italiano. Nato nel 1970, figlio del Commissario di Polizia Luigi Calabresi, assassinato nel 1972 durante le indagini sulla strage di Piazza Fontana, Mario si è dedicato quasi da subito al giornalismo. Ha lavorato inizialmente per ANSA come cronista parlamentare, poi a la Repubblica e successivamente a La Stampa, come inviato speciale durante l’attacco alle Torri Gemelle. Torna a la Repubblica come direttore fino agli inizi del 2019. Oltre a “Spingendo la notte più in là“, ha pubblicato con uguale successo “La fortuna non esiste“, “Cosa tiene accese le stelle“, “La mattina dopo” e “Quello che non ti dicono“.


Recensione

Il romanzo di Calabresi inizia con forza e in modo diretto e penetrante nel descrivere quella che oggi gli appare come la cronaca di una morte annunciata. Già dalle primissime pagine, quando condivide con il lettore le sei immagini che a un certo punto della sua vita ha potuto ricostruire delle settimane precedenti l’assassinio, la storia ci attraversa l’anima con prepotenza, offrendoci un dolore grande e incomprensibile. E siamo già persi. Perché il dolore di Mario Calabresi, della madre e del fratello che ancora non era nato, è quello di tante famiglie italiane che negli anni di piombo hanno perso i loro cari durante le stragi terroristiche e le esecuzioni eseguite dai gruppi armati dell’estrema sinistra.

Calabresi riesce in modo decoroso e delicato a darci un’idea di quanto sia stata grande la tragedia, della disperazione che hanno vissuto, a volte dell’incomprensione del paese, in quel momento e negli anni successivi. Perché dimenticare è impossibile, si può solo cercare di andare avanti; sono dolori che non possono sbiadire, che ogni volta che vengono smossi ti colpiscono con la stessa forza

dolori improvvisi, a cui non si è mai preparati, che non fanno mai la cortesia di annunciarsi. Arrivano e ti strappano dal presente.

Quello che stupisce forse di più, per noi che non abbiamo vissuto direttamente quegli anni di terrore, è la calma e l’assoluta mancanza di odio che pervade l’autore. Obiettivo principale dei familiari rimasti, in questo caso la mamma Gemma, è sempre stato quello di far crescere i figli senza sviluppare in loro sentimenti di rabbia o vendetta. Ricostruire una vita e andare avanti con positività, credendo fermamente nelle istituzioni e nella giustizia e accettando tutte le decisioni dei vari governi che si sono avvicendati. Anche quando questo significava vedere gli assassini ottenere la grazia, ricoprire ruoli politici importanti, o addirittura lavorare nello stesso quotidiano con l’autore. Lodevole da parte loro, visto che resta difficile a me, ora che conosco tutti i particolari, guardare alcune persone con gli stessi occhi, leggere i loro articoli o persino i loro libri, sapere che hanno rappresentato il nostro paese al governo, ma che quarant’anni fa hanno portato avanti una rivoluzione giocando con le vite altrui, decidendo della vita o della morte di persone scomode o con ideali diversi dai loro.

La famiglia Calabresi, invece, ha sempre ritenuto giusto non opporsi alla possibilità che i responsabili della morte del Commissario potessero rifarsi una vita, una volta scontata la pena; ma allo stesso tempo ha chiesto con delicatezza e tenacia, per tutti questi anni, che non venisse però dimenticata l’ingiustizia subita. Che lo Stato trovasse il modo di ricordare Luigi Calabresi come vittima del terrorismo, che la storia non venisse né deformata né dimenticata, con una lapide, una medaglia, una via dedicata al Commissario, un qualunque riconoscimento che intendesse dire <noi ricordiamo>.

E così il figlio Mario mette insieme i suoi ricordi e quelli della madre, dei parenti più stretti, degli amici, di tutti coloro che lo hanno conosciuto, per dipingere una figura onesta e consapevole purtroppo del suo destino. Come se scrivendo potesse esorcizzare il passato e ricostruire un futuro.

la nonna mi ha insegnato le virtù taumaturgiche e curative della parola e l’importanza della condivisione della memoria.

E allora sembra doveroso, per noi, contribuire alla creazione di questa memoria leggendo questo piccolo testo. Intenso, scritto con estrema maestria e con un linguaggio semplice ma elegante, mai faticoso e molto toccante. Un racconto che contagia e lucida spesso gli occhi, che a volte sdegna, a volte fa sorridere, ma soprattutto insegna. Insegna il modo giusto e quello sbagliato di seguire i propri ideali, insegna il rispetto per gli altri e soprattutto per quelle figure che hanno subito un destino che non hanno cercato. E’ una lettura breve ma profonda; un pezzo della nostra storia che non va dimenticato, ma custodito nella memoria collettiva per non essere ripetuto.


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