
Mie magnifiche maestre – Fabio Genovesi

Titolo: Mie magnifiche maestre
Autore: Fabio Genovesi
Editore: Mondadori
Genere: romanzo
Pagine: 240
Prezzo: 19,00
Trama libro
Isolina ha salvato il suo matrimonio la notte in cui ha piantato una falce nel fianco di suo marito. Benedetta era la più bella della spiaggia, ma piuttosto che diventare Miss Cuore di Panna ha preferito darsi alle droghe pesanti. Con Gilda i funerali diventavano feste di compleanno. Azzurra a scuola aveva il Sostegno, ma era lei a non sostenere la banalità degli altri. Poi Irene, la migliore amica dei bambini piccoli e dei mostri giganti. E Violetta, troppo impetuosa per il suo fisico massiccio, che trasformava ogni abbraccio in una frattura. Anime intense e fiammeggianti, riunite in una sola, clamorosa famiglia. Non di quelle rigide, basate sul sangue, ma più libera e ariosa, tenuta insieme dalla colla calda dell’amore. Sono le zie e le nonne di Fabio, che questa settimana compie cinquant’anni, anche se nessuno ci crede e lui meno di tutti. Allora queste donne magnifiche vengono a trovarlo. Vengono nei suoi sogni, perché sono morte. Ma se c’è una cosa che gli hanno insegnato è che i sogni non sono la fine della realtà, come la morte non è la fine della vita. In realtà gli hanno insegnato molto altro, solo che Fabio era troppo piccolo per apprezzarlo. Tutto preso a seguire i suoi zii marinai e avventurieri, grandi maestri di vita “maschia” quando lui un maschio cercava di diventare. Adesso però è un tempo diverso, e tornano da lui le diverse lezioni delle zie. Silenziose e insieme così forti, sagge e folli, divampano nelle sue notti. Ognuna un sogno, un ricordo e una scoperta, una stella trascurata che torna a luccicare. Ma perché tornano tutte adesso, a una settimana da un compleanno che lo stranisce? Vogliono solo salutarlo, o c’è qualcosa di più importante che deve sapere, qualcosa che deve fare per conto dell’Aldilà?
Autore libro
Fabio Genovesi, classe 1974, nato a Forte dei Marmi, è scrittore, sceneggiatore e traduttore italiano. Oggi collabora con La Repubblica e il Corriere della Sera. Per Rai2 e RaiSport racconta i luoghi e le loro storie durante le dirette del Giro d’Italia e del Tour de France. Ha scritto vari racconti e saggi, oltre ai romanzi “Chi manda le onde“, con il quale ha vinto il Premio Strega Giovani nel 2015 e “Il mare dove non si tocca“, con cui ha vinto il Premio Viareggio nel 2018. Successivamente escono “Cadrò, sognando di volare“, “Il calamaro gigante“, “Oro puro” e “Mie magnifiche maestre“.
Recensione libro
Ormai da anni aspetto i libri di Fabio Genovesi come un bambino attende la storia della buonanotte. E anche questa volta le storie racchiuse nel suo romanzo hanno avuto sapori diversi, alcune dolci, alcune amare, ma tutte lasciano in bocca un ricordo piacevole. E di ricordi, Fabio ce ne offre davvero tanti in queste sette giorni che precedono il suo cinquantesimo compleanno; sembra voglia guardare indietro e tirare qualche somma della sua esperienza, ma non troppe, che alla fine c’è sempre tempo per farlo perché nella vita c’è sempre un nuovo inizio. Credo sia uno dei suoi libri più introspettivi, ma come al suo solito trova il modo più bizzarro, ingenuo e sincero per raccontare se stesso e la vita. Con quel suo stile di scrittura che ti ammalia fin dalle prime righe, con quella capacità di raccontare che o ce l’hai o non la puoi sviluppare, Genovesi usa le parole con ironia, innocenza e sincerità, e quando lo ascolti pensi che sia diventato grande senza aver mai perso il Fabio bambino.
Io all’età della bimba ero già stato a così tanti funerali che se il prete aveva un impegno potevo tranquillamente sostituirlo, e pochi anziani in paese se n’erano andati senza un mio bacio sulla guancia lucida e gelata. Appena iniziava la fila io correvo davanti, non per la voglia di baciare un morto, ma perché almeno non ci avessero già messo la bocca altri vecchi.
Genovesi ripercorre, come già aveva fatto in “Il mare dove non si tocca“, una parte della sua infanzia, aiutato stavolta dalle figure femminili che lo hanno seguito in silenzio e alle quali forse non aveva reso il giusto valore, sempre distratto da quella sfilza di zii che iniziano tutti con la A, che lo hanno trascinato nel loro mondo curioso e vivace. Fabio le ha date per scontate e ora che non ci sono più torna il loro ricordo in sogno ma anche da sveglio: zie, nonne, amiche che frequentavano la sua casa, le donne che lo hanno visto crescere tornano da lui per riaffermare tutti quegli insegnamenti che ha assimilato e che ha tenuto nel suo cuore per tanti anni senza quasi rendersene conto.
Le donne di casa mia, colate in me tanto tempo fa, quando io ero piccolo e loro vive. Tornano adesso da morte, tornano in sogno, ma ai sogni e alla morte non hanno creduto mai. Non sono la fine di qualcosa, sono l’inizio..
D’altronde il tempo, per Fabio, scorre in modo diverso; non si è nemmeno reso conto di aver raggiunto i 50 anni, non ha notato il tempo passare, forse perché non ne ha sentito il peso, forse perché come dice lui non ha mai avuto un lavoro “vero”, una routine quotidiana che scandisse il passare degli anni, quei figli che un giorno li guardi e capisci che se sono cresciuti loro allora vuol dire che lo hai fatto anche tu. E questa vita che scorre seguendo un’altra musica a volte lo fa sentire fuori posto, fuori tempo, come se avesse perso il ritmo comune. Ma in questo suo modo differente di percepire il tempo, Fabio trattiene il passato: ogni ricordo, ogni persona che ha fatto parte della sua vita, ogni risata e ogni lacrima.
Niente passa, se non lo fai passare. Tanti dicono che è necessario per andare avanti. Per fare spazio alle cose nuove devi lasciare quelle passate lungo la strada, e forse è vero, se hai un cuore stretto e spigoloso e senza spazio.
E proprio le notti precedenti il suo compleanno alcune di queste persone tornano a fargli visita, ora che non ci sono più, e tutte vogliono dirgli qualcosa, vogliono essere restituite alla memoria, vogliono forse continuare a dire la loro, o forse vogliono che lui ricordi quanto sono state belle. E allora attraverso i sogni, i ricordi ricordati male (come dice lui) o le storie inventate, Fabio dà ragione alla zia Gilda che lo portava a tutti i funerali anche quando non conosceva il defunto, e ne inventava la storia perché la distanza tra realtà e fantasia in fondo l’abbiamo tracciata noi. Ma a volte la realtà è triste o ingiusta e allora occorre restituire bellezza a qualcosa che abbiamo tanto amato; come la trisnonna Isolina che con un colpo di falce sul fianco del marito ha aggiustato un matrimonio che si stava consumando nella violenza. Isolina è la donna che non vuole accettare in silenzio, che pretende quello che le era stato promesso quando si è sposata, rispetto e amore, e allora decide di reagire subito, prima che la violenza diventi una triste abitudine che si impara a giustificare.
Doveva succedere stanotte. Adesso. Sennó poi il dolore cala, passa, e le ferite pure, ma non è che guarisci. Succede invece la cosa più orribile: che ti ci abitui. Per questo la Bionda era uscita subito e ora a passi rapidi tornava verso casa, per non fermarsi, non aspettare, non abituarsi.
E poi ci sono le donne ancora presenti, come la mamma di Fabio, che da una vita risolve i problemi degli altri senza esserne consapevole. Una donna entusiasta della vita, che ha sempre il sorriso sulle labbra e che forse sa, senza averci mai pensato, che a volte sbagliamo il modo in cui affrontiamo i problemi; sempre lì ad arrovellarci, a farci domande, a cercare risposte. E allora che fai? Vai dalla mamma di Fabio che ti chiede di spiegarle il problema talmente tante volte, perché non lo capisce, si scusa, è colpa sua, che alla fine non lo capisci più nemmeno tu. E l’hai risolto.
In quel momento, quando non sai più cosa dire né pensare, lei piazza la sua domanda. Anche questa senza malizia, senza calcolo, né strategia, solo perché davvero è quel che vorrebbe sapere, una volta ascoltati tutti i tuoi problemi e pensieri e angosce: «Scusa eh, ma che cazzo te ne frega?»
E infine c’è Fabio bambino, curioso, insaziabile di risposte, che con la sua ingenuità si chiede perché gli adulti creano problemi dove non ce ne sono. Come la zia Irene che gli diceva che non poteva avere i bambini perché non le piacevano gli uomini, ma secondo lui era solo una di quelle cose che si dicono ma che si possono fare, eccome!
Non capivo mai le ragioni degli adulti, che erano tante e complicate ma servivano tutte a decidere che qualcosa non si può fare.
“Mie magnifiche maestre” è secondo me il libro più poetico di Genovesi, quello più introspettivo, nel quale prende frammenti della sua vita, della sua infanzia, e mentre li ricorda li cambia un pochino, dà loro più colore e gli infonde un significato che può andar bene per tutti, sullo sfondo di questa vita di provincia che gli è sempre tanto cara e che è popolata di personaggi stravaganti che ti restano nel cuore, tanto che vorresti incontrarli per strada per poterli accompagnare a prendere un gelato. E come accade sempre nei suoi romanzi stai sorridendo e all’improvviso arriva quella frase che ti riporta alla mente qualcosa del tuo oggi o del tuo passato in un modo così dolce, o così amaro, che senti gli occhi che bruciano di lacrime. Ma sono lacrime di comprensione e di gratitudine per qualcosa che realizzi di aver dimenticato, o di aver perso l’occasione di fare o che, se sei fortunato, puoi ancora riparare. Ma in ogni caso non vale la pena rammaricarsi di nulla e Fabio alla fine del suo bilancio sa che anche se ha perso alcune possibilità ne ha raccolte altre, diverse, certo, ma altrettanto soddisfacenti e l’ha fatto d’istinto senza ragionarci troppo su, perché quando vengono dal cuore le scelte poi non le rimpiangi.
Le scelte importanti, quelle che ti cambiano la vita, le fai senza sapere che sono importanti, anzi senza accorgerti che stai scegliendo qualcosa. Semplicemente succedono.