Novecento. Un monologo – Alessandro Baricco

Novecento. Un monologo – Alessandro Baricco

Titolo: Novecento. Un monologo

Autore: Alessandro Baricco

Editore: Feltrinelli

Genere: testo teatrale

Pagine: 62

Voto del Pubblico (IBS): 4,5 su 5

Prezzo: 6,70

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Trama

Siamo a teatro. Il palcoscenico si apre su un uomo solo con la sua tromba. Tim Tooney inizia a raccontare una storia incredibile, surreale è un po’ magica, di un pianista che ha conosciuto sul Virginian, quando la nave faceva la spola tra America e Europa, nel periodo tra le due guerre. Credeteci o no, racconta Tim, ma Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento è il più grande pianista mai esistito. È nato sulla nave e non l’ha mai lasciata. Mai. Nemmeno una volta. Abbandonato in fasce sul pianoforte del salone centrale, è cresciuto sui ponti, allevato dai marinai. È proprio sul Virginian che Novecento impara a suonare il pianoforte. Ma la sua è una musica diversa: è dolce, malinconica, allegra e affascinante insieme. Sono note che nessuno ha mai ascoltato.

Erano suoni dell’altro mondo. C’era dentro tutto: tutte in una volta, tutte le musiche della terra.

In pochi anni la fama di questo silenzioso pianista diventa enorme: le persone salgono sulla nave solo per ascoltarlo. Novecento invece non vuole scendere. Piuttosto che lasciare la sicurezza della nave preferisce vivere il mondo esterno con gli occhi degli ospiti, aggiungendo a ogni racconto un tassello alla sua conoscenza dei vari paesi. Finché, dopo 32 anni di reclusione volontaria, il pianista decide di scendere a terra. Vuole guardare il mare dalla terraferma, sentire il suo richiamo e fermarsi ad ascoltarlo. Così prepara la valigia, prende in prestito il cappotto buono di Tim e inizia a scendere la scala che lo porterà verso una nuova vita. Sullo sfondo, una New York affaccendata.

Primo gradino…

Secondo gradino…

Terzo gradino…

Cosa ne sarà di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento in un mondo che ha conosciuto solo attraverso i racconti dei viaggiatori che ha incontrato?


Autore

Alessandro Baricco è una figura piuttosto eclettica nel panorama culturale italiano. A sessant’anni collabora con La Repubblica come critico musicale; con La Stampa per la pagina culturale; conduce alcune trasmissioni televisive e nel 1994 ha aperto a Torino la Scuola Holden per lo storytelling e le arti performative. La sua produzione letteraria, che ha provocato fin da subito reazioni contrastanti (tra un pubblico che lo adorava e una critica che gli era sfavorevole), oggi comprende “Castelli di rabbia”, “Oceano mare”, “Seta” , “Tre volte all’alba” e il testo teatrale “Novecento. Un monologo” (da cui è stato tratto il film di Tornatore “La leggenda del pianista sull’oceano“).


Recensione

Ho avuto modo, diversi anni fa, di vedere l’adattamento cinematografico di questo libro: “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore. Mi è piaciuto molto, pur con le sue pause eccessive, ed è per questo che ho deciso di leggere il romanzo di Alessandro Baricco. Nonostante sia un monologo scritto per il teatro, che quindi potrebbe risultare una lettura ostica e noiosa, l’ho trovato un testo meraviglioso.

Lo stile può risultare farneticante e sgrammaticato, il discorso è frammentato, le frasi non vengono terminate perché il protagonista passa da un pensiero all’altro, spesso senza continuità di narrazione. Per ragioni teatrali il discorso deve essere veloce, sintetico, diretto; l’autore non può permettersi di perdere l’attenzione dello spettatore e quindi non si dilunga in descrizioni eccessive. E Baricco ha raggiunto lo scopo: la lettura è facile e ammaliante.

È impossibile interrompere il flusso dirompente dei pensieri del narratore, ti ci perdi dentro. Siamo sul Virginian insieme a lui, riusciamo persino a sentire le note che Novecento sta suonando al piano. Viviamo la tempesta, ascoltiamo i viaggiatori che cantano in classe economica, siamo su quei tre gradini che portano verso terra, a New york, con addosso la stessa paura, la stessa ansia e le stesse insicurezze di Novecento.

Incredibile come Alessandro Baricco riesca a catturare il lettore così profondamente il sole 62 pagine. In un testo così breve, riesce a racchiudere un tema estremamente profondo, che probabilmente viene recepito in chiave diversa da ogni lettore. Novecento è l’incarnazione della paura umana verso tutto quello che è infinito: la vita, l’amore, le responsabilità, il mondo stesso. L’essere umano non può sapere, a priori, se un amore durerà, se la vita sarà lunga, se sarà felice e soddisfatto, se sarà in grado di adempiere a tutte le responsabilità che ha preso nei confronti della sua famiglia.

La vita è imprevedibile perché infinita, la nave invece dà a Novecento un senso di sicurezza, di stabilità, di conoscenza del futuro, che in realtà è solo una via di fuga.

La terra, quella è una nave troppo grande per me.

E così deve scegliere: la scelta più difficile, quella decisiva, tra vivere appieno la vita o fingere di viverla. Solo dopo tanti anni, costretto da quella scala, ripenserà alle sue scelte per guardarsi dentro e capire se ha la forza necessaria per arrivare in fondo.

I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Ho disarmato l’infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri.

Credo che ognuno di noi, in un momento della propria vita, su quel terzo gradino abbia reagito in modo diverso e abbia fatto la sua scelta. Molti, probabilmente, sono ancora lì ad osservare la vista dell’enorme e infinita città. Ed è questa la bellezza del libro: la capacità di farci ragionare sull’esistenza senza che ne siamo nemmeno consapevoli.

Perché, in fin dei conti, non è meglio credere che sia solo una dolce e malinconica favola?


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