Appetricchio – Fabienne Agliardi

Appetricchio – Fabienne Agliardi

Titolo: Appetricchio

Autore: Fabienne Agliardi

Editore: Fazi

Genere: romanzo

Pagine: 282

Prezzo: 18,00

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Trama

Situato sul fianco di una montagna, non lontano dal mare, separato dal resto della vallata da un ponte malfermo che gli abitanti non attraversano mai, Appetricchio è il posto dove tornare per far pace con noi stessi e capire chi siamo. È qui che è nata Rosa, la madre di Mapi e Lupo, gemelli di Brescia che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacanze della loro infanzia.
In paese vivono personaggi stravaganti: la maggior parte di loro si chiama Rocco, in onore del santo patrono, nessuno ha un cognome e ognuno parla un dialetto che sembra una lingua straniera, strana e imprevedibile. Andando in auto verso Appetricchio, i protagonisti ricordano con nostalgia le avventure semplici e i rapporti genuini vissuti in quel posto che è sempre rimasto nei loro cuori, fino a svelare, con un inaspettato colpo di scena, il motivo che li ha tenuti lontani per un periodo così lungo della loro esistenza.


Autore

Fabienne Agliardi è una scrittrice italiana, giornalista laureata in lingue. Ha esordito nella scrittura con “Buona la prima“. “Appetricchio” è il suo nuovo romanzo.


Recensione

Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi. Nemmeno che ci abitava sapeva dov’era.

Ed è stato subito amore. Sì, perché di Petricchio, paesino lucano dalle venticinque anime, nascosto dal bosco, incapace di farsi ascoltare, ma anche testardamente chiuso nella sua routine, impaurito dai “furestici”, io mi sono innamorata all’istante. Con la loro stessa allegria e curiosità mi sono infilata nella macchina dei Bresciani, tra i piccoli Mapi e Lupo, che mi hanno fatto spazio e mi hanno insegnato il modo di comunicare con i Petricchiesi. Fin dalle prime pagine ho capito che era un libro diverso, che non era così innocuo come sembrava dalla trama, ma nascondeva molto di più tra le pieghe di quelle vite strambe e pur tanto reali dei suoi abitanti. Petricchio è un paesino di venticinque abitanti, metà dei quali sordomuti, per una strana e mai diagnosticata patologia. Ma tanto i petricchiesi hanno sviluppato un loro proprio linguaggio, un po’ per capirsi tra loro, un po’ per l’autoembargo che si sono imposti da soli dopo che negli anni sessanta quasi tutti i concittadini sono emigrati all’Altitalia. E così Petricchio vive da sé, senza contatti col mondo esterno, causa anche quel ponte malfermo che nessuno usa più dal 1960. Non c’è un postino a Petricchio, non c’è segnaletica, tanto nessuno ci viene mai; tranne i Bresciani che, puntuali come l’estate, si ritrovano a casa della nonna Milù. Mentre segui le vicende strambissime e divertenti dei personaggi di Petricchio ti accorgi che senza rendertene conto sei già parte della famiglia e probabilmente stai parlando come loro.

Era quello che chiamavano l’appetricchiamento: una malia di avviluppamento a usi e costumi, a gesti e parole, a sapori e profumi.

Questo grazie non solo alla storia unica e curiosa, ammaliante e più intrigante dei racconti delle nostre nonne che ci aggiornavano sui vicini, ma soprattutto grazie alla scrittura originale, esuberante e oserei dire geniale della Agliardi, che ha saputo coinvolgerci in una serie di tradizioni dimenticate, di gesti abbandonati, di modi di dire ormai incomprensibili. Petricchio è il protagonista del libro e al tempo stesso non lo: Petricchio è tutti i paesini della nostra penisola, sono le nostre origini, alle quali molti di noi forse vorrebbero tornare e dalle quali in tanti sono fuggiti. Petricchio è il paese dei nonni, delle estati in famiglia, dei vicini che ti vedono crescere. Petricchio è insieme fuga e ritorno. Una fuga fisiologica, perché crescendo siamo portati a staccarci dalle nostre radici, presi dalle novità, dalla vita, dai doveri, da altri interessi; e così piano piano, senza arrecare troppo dolore, cerchiamo di allontanarti dai luoghi in cui siamo cresciuti, da chi ci conosce meglio.

La partenza fu sottotono, tra fisiologica monotonia e sinistri timori. I gemelli si dibattevano tra la voglia di andare altrove e quella di andarci ancora una volta – come quando l’amore è finito, ma per una forma di delicatezza te ne vai dopo Natale, per non rovinare la festa.

Finché non ti rendi conto che le vere radici non si possono estirpare e che quando davvero ne hai bisogno torni sempre ai luoghi dove il tuo cuore ha battuto più forte. “Appetricchio” non è solo un romanzo divertente e bizzarro; è una storia piena di amore, di tristezza in alcuni casi, e persino di dolore. Eppure proprio per questo ti senti tanto più legata con un filo invisibile a questo piccolo paese che, nonostante i suoi venticinque abitanti, l’estate si riempie di colori, odori, sapori, grida, vite, pettegolezzi, discussioni e riappacificazioni. E allora fatevi coraggio e attraversate anche voi quel ponte malfermo, stando attenti ai pertusi e raggiungete Appetricchio, che non ve ne pentirete.

Quanta vita che c’è Appetricchio, borgo senza voce nascosto da un bosco.


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