Confine invisibile – Lucio Rizzica

Confine invisibile – Lucio Rizzica

Titolo: Confine invisibile

Autore: Lucio Rizzica

Editore: Infinito Edizioni

Genere: storia

Pagine: 206

Prezzo: 14,00

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Trama

Siamo alla fine del secondo conflitto mondiale, è il 1945, Hitler è morto e la Germania nazista è sconfitta. Gli Alleati la spartiscono in quattro territori, cosa che cambierà per sempre la storia del popolo tedesco. Perché mentre USA, Inghilterra e Francia si battono per far ripartire l’economia dando avvio alla Repubblica Federale Tedesca (RFT), la Russia usa il paese come pedina politica per mantenere il controllo nell’Europa centrale. Nasce allora la Repubblica Democratica Tedesca (DDR), uno stato socialista che impone fin da subito un regime autoritario, sotto il quale la libertà personale è in pratica inesistente. Per mantenere un simile controllo, i sovietici istituiscono quella che Churchill chiamerà “la cortina di ferro”, una linea che divide in due il paese, un confine invisibile ma duramente presidiato, impossibile da oltrepassare. Ultimo varco rimasto aperto per le migliaia di cittadini tedeschi che vogliono trasferirsi nella RFT è ormai solo Berlino. Quando nella notte tra il 12 e 13 agosto 1961 la città viene spaccata in due da un muro di cemento, il destino dei tedeschi è segnato. Chi è rimasto a Est non potrà più recarsi dall’altra parte. Ventotto anni di Muro. Ventotto anni di tentativi di fuga, molti finiti con la morte dei fuggitivi o il loro arresto, ma molti, eclatanti e pieni di voglia di vivere, sono quelli che hanno portato i berlinesi a cercare di scavalcare quel muro che li opprimeva.


Autore

Lucio Rizzica è un giornalista e scrittore italiano. Tra i suoi libri ricordiamo “Testa o croce con il destino”, “Il romanzo di un re”, “Senza essere eroi”, “Proprio come una cometa”, “Behind”, “Serse Coppi, l’angelo gregario“.


Recensione

Il 9 novembre 1989 per noi italiani è stato un giorno qualunque. Niente di strano. Niente da segnalare. In un paese non lontano da noi, avveniva invece un cambiamento storico di proporzioni mondiali. Io ero piccola e ricordo perfettamente la sorpresa, la curiosità, l’eccitazione che il giorno dopo si diffuse per tutta la scuola. Non si parlava d’altro con i professori: il Muro era caduto durante la notte. La gente in Germania festeggiava una libertà ritrovata che aveva perso nel 1961, quando nella notte tra il 12 e il 13 agosto fu eretto in silenzio il Berliner Mauer. Quando gli abitanti di Berlino si svegliarono, quella mattina, la loro città era stata divisa in due e parenti e amici erano stati separati per sempre da una linea tirata su carta.

Devo ammettere che nonostante la grandiosità dell’evento e l’averlo studiato a scuola, non mi sono mai documentata più di tanto sui prodigiosi e tristi eventi che hanno circondato la sua costruzione, i suoi 28 anni di vita e la sua caduta. Questo libro raccoglie in modo chiaro e comprensibile, con uno stile semplice e accattivante, la cronaca storica della Germania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino alla caduta del Muro. E’ una lettura molto interessante, soprattutto per chi è appassionato di storia, ma anche per chi semplicemente è incuriosito da quelle lastre di cemento che per tanti anni divisero un popolo.

La storia di per sé è chiara e risaputa, eppure ci sono sfumature di cui non ero a conoscenza, che mi hanno lasciato perplessa, spesso sconcertata e a volte addolorata, per come si sono svolti davvero i fatti e per le loro ripercussioni. Alla fine del secondo conflitto, ai morti dovuti alle atrocità naziste vanno ad aggiungersi quasi 650mila tedeschi periti durante i bombardamenti notturni degli Alleati.

La battaglia per la Germania, cominciata come il più imponente fatto d’armi del XX secolo, si concluse nella più grande tragedia umana del Novecento. (Hastings, storico e reporter londinese)

La Germania non è solo sconfitta, ma parzialmente distrutta. Quello che resta del paese e dei suoi abitanti viene diviso in quattro parti dagli Alleati, ma mentre USA, Inghilterra e Francia tendono a rendere indipendente la nuova società nata dalle rovine e a far ripartire l’economia, dall’altra parte la Russia usa il paese come pedina per mantenere il controllo nel centro Europa, dimenticandosi dei tedeschi. Lucio Rizzica ci spiega in modo esaustivo e sempre affascinante, la lenta trasformazione della Germania Est in uno stato socialista privo di libertà, dove è fondamentale imporre regole rigide, un’osservazione scrupolosa della vita altrui e occorre limitare ogni tipo di pensiero e di parola. Tutto questo mostrando però all’esterno, a quell’Occidente che la giudicava, che la società della nuova DDR non era solo perfetta e giusta, ma fondata su uguaglianza, parità sociale, sanità garantita a tutti, sviluppo dello sport come forma di gratificazione. Le generazioni più giovani, che crescono in questo nuovo mondo, spesso non hanno notato nessuna differenza tra lo loro vita e quella all’ovest, anche perché quasi nessuna informazione veniva fatta arrivare a Est. Crescono così i nuovi tedeschi, quelli a cui appare naturale l’oppressione socialista. Come scrive il filosofo Max Weber

Se inglesi e francesi ci dominassero, resteremmo pur sempre tedeschi. Se però sono i russi a dominarci, questo alla lunga non è più possibile.

Ma è una sensazione che dura poco, quella di benessere e serenità. Presto il limite alla libertà personale inizia a pesare. Molti tedeschi rimasti a est raccontano di come abbiano dovuto per anni misurare le parole, nascondere le loro opinioni, adeguarsi al sistema, per paura di ritorsioni. Come dirà Winston Churchill, una “cortina d ferro” era scesa sull’Europa dividendola in due: una cortina fatta di filo spinato, posti di blocco, torri di sorveglianza, mine e spari. Dal Mar Baltico fino alla Cecoslovacchia era rimasto ormai un solo punto che poteva essere ancora attraversato e dal quale continuavano a fuggire migliaia di operai, insegnanti, ingegneri, lavoratori di ogni genere che mettevano in seria difficoltà l’economia della DDR: Berlino. Fu per questo che la Germania Est fu costretta ad accettare la proposta dell’allora leader politico Walter Ulbricht: dividere Berlino con un muro che impedisse il passaggio a ovest. Mi sono chiesta spesso come sia stato possibile costruire una divisione di cemento alta 3,60 m in una sola notte, senza che nessuno se ne accorgesse. Anche qui Rizzica ci offre un racconto minuzioso sulla folle idea e il suo compimento. Alla fine di questa storica impresa, Berlino si ritrovò con 155 km di lastre di cemento, filo spinato, torri di sorveglianza, e un corridoio interno, largo 10 m, tra il perimetro principale e quello interno, chiamato la “striscia della morte”, che per anni è stato oggetto di tiro al bersaglio. Si, perché gli ordini imposti alle guardie furono precisi fin da subito: sparare a vista a chiunque tentasse di passare il muro.

Quello che mi ha colpito di più è stato scoprire che non tutti i tedeschi dell’est soffrirono per la loro segregazione. Alcuni, soprattutto quelli che vivevano nelle campagne, raccontano che la vita non era così terribile e che la DDR forniva loro tutto il necessario. Tutti però sono d’accordo nell’ammettere che si respirava una mancanza di libertà. Questo sentimento fu quello che spinse migliaia di tedeschi a tentare la fuga, per tutti i 28 anni del Muro.

Uomini e donne decisi a tutto pur di riuscire a completare il loro “passaggio a Ovest”. In qualunque modo. A qualunque prezzo. Sfidandola apertamente, quella compagna di viaggio così invadente: der Tod, la morte.

E così sono arrivate a noi, prima o dopo, le storie di migliaia di persone che sono rimaste famose per aver organizzato le fughe più rocambolesche, anche di quelle che nel tentativo hanno perso la vita. Se cercate su internet, per esempio, potete ancora vedere la foto che rese famosi Hans Conrad Schuman e Peter Leibig: il primo è il poliziotto appena ventenne che due giorni dopo la costruzione del muro approfittò della distrazione dei colleghi per tentare il salto più famoso della storia: quello sul filo spinato che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, lungo uno dei pochi varchi ancora non ostruiti dal muro. Il secondo è il fotografo che lo immortalò. Mi ha sorpreso sapere che i tentativi di fuga attraverso tunnel scavati sottoterra proseguirono per quasi trent’anni. Tra i più curiosi e pieni di inventiva, sicuramente merita una menzione il gruppo di fuggitivi che, fingendo di partecipare a un funerale, si riunì davanti alla stessa tomba sotto la quale era stato scavato un tunnel che portava verso la libertà. Potremmo citare tutti quelli che riuscirono ad attraversare i varchi usando macchine ribassate appositamente per poter sfrecciare al di sotto delle barricate, alte solo 95 cm. Oppure i due surfisti che veleggiarono per quattro ore nelle acque gelide del Baltico, rischiando l’assideramento, fino alle coste della Danimarca. Ma la fuga più pericolosa e spettacolare è certamente quella che fa da filo conduttore al romanzo. Due famiglie, quelle di Günter Wetzel e Peter Strelczyk, progettarono, costruirono e cucirono una mongolfiera che li portò per dieci chilometri dall’altra parte del confine.

Mi chiamo Günter, Günter Wetzel. Nel 1973, assieme all’amico e collega Peter Strelczyk, e alle nostre mogli Petra e Doris, abbiamo deciso che forse meritavamo qualcosa di più.

Ed è proprio questa affermazione quella che oggi, dopo tanto tempo, fa più male a chi si imbatte in queste storie. La scoperta di quello che il governo socialista sovietico stesse togliendo a tanti tedeschi: la possibilità di avere di più. Di pensare liberamente, di seguire le proprie ideologie, di rincorrere i propri sogni, di beneficiare del progresso che stava invadendo l’ovest e che in DDR era considerato distruttivo, di essere liberi di programmare una vacanza in un luogo scelto e non imposto dal regime. La volontà di rivedere amici e parenti perduti, finiti dall’altra parte di questo confine insuperabile, sia fisico che mentale.

Ho letto questa cronaca storica con mille emozioni dentro: stupore, rabbia, dolore, incredulità, fiducia e speranza. Tutte sensazioni che credo abbiano provato per quarant’anni anche i tedeschi. Ho sofferto con loro quando parlavano di mancanza di senso del privato, di quella sottile ma potente presenza del regime nelle loro vita, che li controllava e li catalogava. Ho esultato con loro quando quella semplice domanda fatta dall’inviato dell’ANSA Riccardo Ehrmann “da quando?” metterà fine, senza saperlo, a quelle lastre di cemento che sempre più pesavano sulle nuove generazioni e sulla politica estera. Non ricordavo affatto come si era arrivati alla caduta del muro, e seguirne le vicende attraverso le parole di Rizzica è stato molto toccante. Consiglio questo libro a tutti, amanti e non della storia, perché porta con sé il ricordo di cosa l’uomo è capace di fare ai suoi simili e di quante ingiustizie la storia ha lasciato dietro di noi. Un invito a riflettere sulla vera essenza della DDR, che fu niente altro che una prigione, dorata, che non permetteva ai suoi abitanti di lasciare il paese, pena la morte. Ma è anche la dimostrazione che la speranza e la voglia di libertà, nell’uomo, sono tanto forti e innati da riuscire a superare anche la paura della morte. Ce lo ricordano le centinaia di tedeschi che hanno perso la vita nel tentativo di superare il muro, anche quando le possibilità di farcela erano minime. E allora è giusto ricordare: questo momento buio nella storia dell’umanità, come tutti gli altri che si sono avvicendati. Perché la memoria è sempre l’unica cosa che può salvarci dal commettere gli stessi errori.


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