Il cielo non ha catene – Ruta Sepetys

Il cielo non ha catene – Ruta Sepetys

Titolo: Il cielo non ha catene

Autore: Ruta Sepetys

Editore: Garzanti

Genere: romanzo storico

Pagine: 301

Prezzo: 18,60


Trama

Occhi grigi e capelli spettinati, Cristian ha diciassette anni, ascolta musica rock e legge poesia. È stato suo nonno a insegnargli il valore delle parole e a incoraggiarlo a seguire le proprie passioni. Anche quando è difficile. Anche quando è proibito. Perché Cristian vive nella Bucarest del 1989. Sono tempi duri per chi, come lui, sogna la libertà. Per chi crede in un avvenire diverso, ma è costretto in un paese apparentemente senza futuro. Per questo Cristian denuncia nel suo diario i soprusi del regime di Ceaușescu cui assiste ogni giorno. Ma quando la polizia segreta lo convoca e minaccia la sua famiglia, il ragazzo è costretto ad andare contro ogni sua convinzione e accetta di diventare una spia. Purtroppo, è ben consapevole di che cosa significhi ostacolare pubblicamente un dittatore. Sa di essere circondato da persone pronte a tutto per entrare nelle grazie del governo. Non può fidarsi di nessuno, nemmeno dell’intelligente Liliana, che, sotto una lunga frangia, nasconde occhi grandi e dolci. Soltanto lui può salvare le persone cha ama. Ma a modo suo, cercando di seguire gli insegnamenti del nonno e senza perdere la propria integrità. Perché l’inverno sta volgendo al termine e per le strade di Bucarest si sussurrano parole di libertà. E Cristian non può che rispondere all’appello. Anche se significa mettere a repentaglio la propria vita.


Autore

Ruta Sepetys è una scrittrice americana figlia di rifugiati lituani. Ha esordito nel 2011 con “Avevano spento anche la luna“, basato su storie vere raccolte durante i suoi studi. Ha poi pubblicato opere di successo sia per adulti che per ragazzi, tra cui “Una stanza piena di sogni“, “Ci proteggerà la neve” e “Il cielo non catene“.


Recensione

E fu così che iniziò.

Ero Cristian Florescu. Nome in codice: OSCAR.

Una spia diciassettenne.

Un informatore.

Come avevo già notato nel suo romanzo “Avevano spento anche la luna” la Sepetys ha la straordinaria capacità di riportare alla luce, in modo vivido, crudo e delicato al tempo stesso, alcuni dei momenti più tristi della nostra Storia. Anche questa volta termino la lettura con l’amaro in bocca e una tristezza dovuta più che altro all’ignoranza: le informazioni che avevo sulla situazione del popolo romeno durante il regime di Ceaușescu erano più che altro scolastiche, il che equivale a dire una serie di date e di fatti, ma non ovviamente dei veri sentimenti di migliaia di persone. Così come è accaduto per tutti gli altri paesi che hanno subito il regime comunista al di là della cortina di ferro, e che poi se ne sono liberati violentemente a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, anche in Romania l’opinione pubblica non era unanime. Molti cittadini, nonostante la grande povertà in cui il paese ha vissuto per quasi trent’anni, ancora oggi considera positivo il governo di Ceaușescu, ma molti di più sono quelli che si sono resi davvero conto della situazione disumana in cui hanno vissuto, e di come forse all’estero le cose fossero davvero differenti. La grande forza di questi governi è stata isolare totalmente la popolazione dal mondo esterno, in modo da poter diffondere la convinzione che la loro fosse la normalità, e allo stesso tempo impedire agli stati stranieri di scoprire la verità.

Una delle cose che mi ha colpito di più nella storia di Cristian, seppur romanzata, è il suo chiedersi di continuo se le regole che devono seguire i romeni solo le stesse a cui devono sottostare i ragazzi delle altre nazioni. A quanti anni gli adolescenti stranieri vengono iniziati alle armi? Quanto sono lunghe le file degli altri paesi per ottenere cibo durante le distribuzioni? Domande che Cristian si pone con un certo sarcasmo, convinto dalle notizie che ascolta attraverso le stazioni radio clandestine e da quelle che circolano di nascosto, che forse fuori dalla Romania il mondo è davvero diverso. Ho scoperto, grazie alla Sepetys, a quali restrizioni sono stati sottoposti i romeni per decenni: razionamento di cibo, distribuzione forzata dei lavori, controllo di acqua calda e luce, che venivano spesso interrotte, controllo della vita privata tramite la Securitate, la polizia romena che sorvegliava i comportamenti dei cittadini ascoltando le conversazioni, impedendo il raduno di persone e i rapporti con chiunque non fosse romeno. Il regime ha indebolito il popolo anno dopo anno, convincendolo di non avere nessuna forza, togliendogli ogni tipo di libertà e rendendolo sottomesso.

“Ci sottraggono il potere facendoci credere che non ne abbiamo” diceva Bunu.

Il quadro che ne esce è quello di un popolo che ha vissuto nell’ombra grigia dei suoi palazzi, seguendo le regole ferree in cui non credeva, trascinato da una paura cieca diffusa dalle gravissime ritorsioni della Securitate. Un popolo che non crede nel futuro perché non gli è stato insegnato a sognarlo.

Come potevamo dipingere o disegnare in modo creativo? Se l’Occidente era una scatola di pastelli colorati, la mia vita era una confezione di matite dalle tinte spente.

Ma Cristian ha il suo Bunu, il suo caro vecchio nonno, che ricorda perfettamente il paese prima del regime e lo incita a pensare, a opporsi alle idee degli altri se non sono condivise; Bunu gli tramanda l’amore per la letteratura, per la poesia, e soprattutto per le parole. Così Cristian scrive ciò che pensa nei suoi quaderni: le emozioni di un adolescente che sente la mancanza di una libertà che non ha mai posseduto. Mi sono chiesta come sia stato possibile per un popolo riuscire a rimanere in silenzio per un periodo così lungo. La Sepetys riesce a ricostruire perfettamente, con quel suo modo di scrivere veloce e tagliente, incisivo e affilato, la vita di un popolo tormentato dalla presenza di informatori che lo spiavano fin dentro casa. I romeni hanno vissuto a bassa voce per trent’anni, schiacciati dalla diffidenza verso i loro vicini e addirittura verso i loro familiari. Un popolo che non può unirsi è un popolo debole e facilmente gestibile.

Come potevamo aspettarci che gli altri sentissero il nostro dolore o ascoltassero le nostre grida di aiuto quando tutto quello che potevamo fare era sussurrare?

Lo stile narrativo di questo romanzo è non solo scorrevole, ma trascinante; al racconto in prima persona di Cristian si alternano i documenti della Securitate, che mostrano l’altro lato della vita del ragazzo, quello continuamente sotto controllo e che crea nel lettore una sensazione di impotenza e di rabbia. Quella della Sepetys, anche questa volta, è un’opera imperdibile; una storia importante, frutto di un lavoro di ricostruzione storica non indifferente e raccontata in modo maestrale. E’ stato un resoconto impietoso di una tragedia storica che ha ridotto alla fame e alla povertà un intero popolo; ma dietro il dolore, per anni, si è sommata la voglia di vivere, di riacquistare la libertà, di uscire da quella vita fatta di sussurri e vuota di sogni. E alla fine, quando l’intera Europa comunista inizia a cadere, ritrova la forza per ribellarsi alle ingiustizie e creare un paese nuovo. Un paese libero.


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