Il quaderno delle parole perdute – Pip Williams

Il quaderno delle parole perdute – Pip Williams

Titolo: Il quaderno delle parole perdute

Autore: Pip Williams

Editore: Garzanti

Genere: romanzo storico

Pagine: 430

Prezzo: 11,00


Trama

Esme ha solo cinque anni quando tenta di salvare la sua prima parola: è “Lily”, che nel dizionario vuol dire giglio, ma che è anche il nome della mamma morta, che il papà, in un momento di sconforto, getta nel fuoco. Così, per salvare quel piccolo ricordo su un pezzetto di carta, Essy porterà il segno dell’ustione per tutta la vita. La bambina cresce tra le cure del padre e quelle di Lizzy, una delle governanti del professor Murray per il quale lavora Pa’. Al professore, infatti, è stato affidato il compito di redigere una nuova versione del Dizionario inglese: è il 1887 e il precedente volume del professor Johnson non è mai risultato completo. Così Esme cresce tre le scrivanie dello Scriptorium, dove lessicografi come il padre si alternano nella ricerca di tutti i vocaboli da inserire in quello che sarà il nuovo Oxford English Dictionary. Ma Essy scopre ben presto che non tutte le parole possono entrare nell’opera: solo quelle che hanno un riscontro scritto, che possono essere ritrovate in un libro o in un’opera saranno incluse nel dizionario. La giovane prova una profonda tristezza per tutte le parole che vengono abbandonate, scartate, dimenticate, e inizia a collezionarle, a salvarle, custodendole in un baule sul quale incide in modo grezzo il titolo “Il dizionario delle parole perdute”. Ma lo Scrippy non è il posto per una ragazzina, soprattutto così curiosa, e Esme viene inviata in un college per signorine in Scozia.

Quando finalmente rientra a Oxford, Essy ha ormai più di sedici anni e riuscire a essere notata e accettata all’interno della cerchia di studiosi del professor Murray sarà un processo che richiederà tempo e costanza. Saranno anni di cambiamento per il mondo, in cui Esme scoprirà quanto la figura femminile sia sempre stata messa in secondo piano, a partire dalle parole che usa e che non vengono considerate adatte a rappresentare la lingua inglese. Parole che le donne usano normalmente, che le identificano e le rappresentano, ma che troppo spesso vengono considerate volgari, inadatte e inutili. Si imbatterà dei movimenti delle suffragette che chiedono il diritto al voto, e si ritroverà travolta da una guerra mondiale che cambierà per sempre il paese. Ma la sua raccolta delle parole perdute non si fermerà, e la accompagnerà per tutta la vita, finché qualcuno finalmente non ne comprenderà l’importanza.


Autore

Pip Williams è una scrittrice e ricercatrice britannica, trasferitasi in Australia. Il suo romanzo d’esordio, “Il quaderno delle parole perdute” è stato un caso editoriale del 2020 nel paese. La Williams ha deciso di scrivere la storia quando ha saputo che nel 1906 si scoprì che nel nuovo Oxford English Dictionary, pubblicato nel 1897, mancava la parola bondmaid (giovane schiava).


Recensione

Certe parole sono più importanti di altre: questo ho imparato crescendo nello Scriptorium. Ma mi ci è voluto parecchio tempo per capire perché.

Il quaderno delle parole perdute” è un romanzo complesso e delicato che ripercorre la situazione femminile tra la fine dell’800 e gli inizi del nuovo secolo. Partendo da un fatto storico realmente accaduto, ossia la scoperta nel 1906, da parte di un semplice lettore, che nel nuovo Oxford English Dictionary mancava una parola, la Cullen ripercorre la costruzione della nuova versione del dizionario e attraversa trent’anni della storia Britannica. All’inizio Il romanzo è partito con un andamento fin troppo pacato, ho quasi faticato a entrare in sintonia con Esme, ma ben presto la storia di questa ragazzina diviene molto di più: con uno stile elegante e scorrevole, attento alle spiegazioni tecniche ma anche alla descrizione di una particolare società, la Cullen riesce a disegnare un’epoca in cui le donne hanno faticato a mostrare il loro valore. Questo libro è un inno alle parole: quelle scartate perché usate solo nella lingua comune e quindi non ritenute attendibili; quelle che delineavano la figura femminile di fine Ottocento e quindi vennero considerate non adeguate a entrare nel Dizionario perché troppo forti, volgari o inutili. Ma Essy ci dimostra con pazienza e costanza che ogni parola acquista un significato diverso a seconda della persona che la usa e del contesto in cui viene utilizzata. Quelle che raccoglie con amore, per paura che vengano dimenticate o abbandonate, sono parole che parlano dell’universo femminile e della situazione della donna in quei decenni.

La prima parola che salva dall’esclusione, bondmaid (giovane schiava) è quella che spesso viene utilizzata persino per la governante che la cresce con amore. Sono parole sentite al mercato, nelle strade, nei teatri, dove le donne hanno una vita parallela e silenziosa e tentano di essere notate, apprezzate e ascoltate. Sono gli anni in cui una ragazza può studiare, ma non conseguire il diploma né la laurea; gli anni in cui nell’ambiente universitario o giuridico le figure femminili non partecipano attivamente ma hanno sempre un ruolo di assistenti; sono gli anni delle suffragette e della richiesta del voto femminile. Le donne vogliono avere una parte attiva nella società e le parole servono loro a definirsi e rendersi più vivide.

Non potevo farmi sottrarre le parole. Loro mi definivano.

Esme passa la vita a cercare le parole giuste per caratterizzare non solo se stessa, ma le persone che la circondano e la società in cui vive. Ha un bisogno disperato di essere identificata nei vocaboli, come se questo potesse mettere nero su bianco la sua personalità. Lei e il padre condividono questa passione, che è poi anche necessità, da quando sono rimasti soli.

Tua madre avrebbe avuto le parole per spiegarti il mondo, Essy. Ma senza di lei dobbiamo fare affidamento sullo Scrippy.

E lo Scriptorium allora diviene il suo modo per contribuire a dar voce alle donne ridotte al silenzio, a quelle dimenticate, a quelle con considerate e che invece hanno un disperato bisogno di essere ascoltate. Oltre alla storia di Esme, che mi ha toccata nel profondo per la tristezza di alcuni episodi e la fatica con cui ha dovuto restare in superficie in un società maschilista, quello che più mi ha colpito del romanzo è stata la descrizione della costruzione del Dizionario. Abituata ai mezzi di oggi, non mi sono mai fermata a pensare al lavoro immenso che si nasconde dietro la stampa dei dizionari universali del secolo scorso: è impressionante pensare che un gruppo di lessicografi abbia dovuto lavorare ininterrottamente per dieci anni per vedere stampati solo i fascicoli che andavano dalla lettera A alla C. L’ho trovata una cosa estremamente interessante, lo sfondo perfetto sul quale costruire la vita di questa ragazza forte e determinata che ha saputo affrontare le reticenze della sua società, ha preso decisioni che l’hanno segnata per tutta la vita, ma ha mantenuto fino alla fine quell’amore e quella fiducia nelle parole che l’hanno accompagnata fin da bambina.


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