L’amico immaginario – Stephen Chbosky

L’amico immaginario – Stephen Chbosky

Titolo: L’amico immaginario

Autore: Stephen Chbosky

Editore: Sperling & Kupfer

Genere: thriller, horror

Pagine: 630

Voto del pubblico (IBS): 4,4 su 5

Prezzo: 5,50

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Trama

Mill Grove, in Pennsylvania, è la classica cittadina della provincia americana dove la vita scorre serena e una donna come Kate Reese, con un figlio sulle spalle e un ex-fidanzato violento, può nascondersi e cominciare una nuova vita. E così accade, almeno all’inizio. Kate trova lavoro presso la casa di riposo Shady Pines, Christopher, che ha sette anni ma un vissuto alle spalle che lo ha reso più maturo, fa le prime amicizie a scuola. Tutto fila liscio. Kate riesce a pagare i conti e a mettere la cena in tavola ogni sera. Finché Christopher non inizia a sentire la voce. Quella che gli dirà di inoltrarsi nel bosco di Mission Street.

Nessuno lo vedrà più per sei lunghissimi giorni. Nonostante le ricerche dello sceriffo, Christopher pare essere sparito nel nulla, ma quando la cittadina inizia a perdere le speranze, il bambino riappare appena fuori dal bosco. Da quel momento la vita comincia a cambiare, la fortuna investe al famiglia Reese, ma Kate non può fare a meno di notare che il suo bambino è cambiato. Cristopher, dislessico dall’infanzia, diviene un lettore vorace e ottiene ottimi voti a scuola, uscendo dal corso di recupero. Ma quello che la preoccupa davvero è che il bambino sembra avere un amico immaginario con cui parla spesso e una febbre immotivata che va peggiorando con il passare dei giorni.

Christopher invece scopre di aver acquisito la capacità di sapere le cose: è così che scopre tutti i segreti dei cittadini di Mill Grove. L’uomo gentile, che l’ha tratto in salvo dal bosco e che lui solo può vedere, lo mette in guardia: un male straordinariamente potente sta arrivando in città e va fermato prima che distrugga tutto. L’unica soluzione è che il bambino costruisca una casa sull’albero al centro del bosco di Mission Street, entro la vigilia di Natale. Deve solo fidarsi.

Così, mentre in città si verificano strani casi di follia collettiva, il ragazzino deve combattere contro un male più grande di lui, la signora che sibila, che cerca di ucciderlo come ha già fatto cinquant’anni prima con un altro bambino, David Olson. Lottando contro una febbre che lo sta indebolendo, Christopher segue gli indizi lasciati da David, nella speranza di salvare Mill Grove dalla distruzione totale.

Ma ha poco tempo e solo tre ragazzini che credono alle sue parole.

la morte sta arrivando. la morte è qui. morirete tutti il giorno di natale.


Autore

Stephen Chbosky, nato nel 1970 a Pittsburgh, è conosciuto come scrittore, regista e sceneggiatore cinematografico. Ha ottenuto la fama internazionale con il romanzo “Ragazzo da parete“, divenuto subito un best seller, tradotto in sette lingue, con oltre un milione di copie vendute. Dal libro è stato tratto il film “Noi siamo infinito“, con la regia dello stesso autore, dopo il quale il libro è stato rieditato con un nuovo titolo. Oltre alla co-produzione della serie tv Jericho, è famoso per essersi occupato della sceneggiatura di “Allegiant”, (terzo episodio della serie The Divergent Series), de “La bella e la Bestia“, remake Disney del 2017 e di “Wonder” (di cui è stato anche regista). A dieci anni dal primo romanzo, nel 2019, esce in libreria “L’amico immaginario“, a metà tra thriller e horror.


Recensione

So che sto per diventare impopolare con questa recensione del nuovo romanzo di Stephen Chbosky. Lo hanno definito un capolavoro, un libro straordinario, degno del maestro del brivido, Stephen King. Premetto che l’ho acquistato senza nemmeno leggere la trama, anche se la cover lasciava immaginare che l’autore avesse cambiato genere (e lasciatemi dire che la copertina mi ricordava molto quella de “L’istituto” di King, uscito nello stesso periodo). Stephen Chbosky ha scritto un solo romanzo prima di questo, “Ragazzo da parete” o “Noi siamo infinito“, chiamatelo come preferite, e io sono ancora oggi convinta che sia stato un piccolo capolavoro sottovalutato all’estero, finché non ha ottenuto l’attenzione che meritava grazie alla trasposizione cinematografica. In questa seconda opera, scritta a dieci anni di distanza, Chbosky cambia totalmente registro.

Inizio col dire che la storia è più che buona, in effetti è ottima, tanto che sono sicura abbia strappato un sorriso al maestro dell’horror. E’ una di quelle storie da leggere con la luce accesa, ricche di una fantasia smodata e un po’ macabra. Non era certo necessario il ringraziamento finale verso King, che lo ha ispirato. Il fatto che il romanzo sia un omaggio al grande scrittore è piuttosto evidente: il metodo di scrittura, veloce, incalzante, secco, è adatto al miglior romanzo kinghiano. I vari riferimenti a opere famose, che chi conosce il genere ha sicuramente apprezzato, dal gruppo di bambini costretti a combattere l’epica battaglia tra bene e male, a particolari disseminati i tutto il libro (palloncini che volano per la città, camioncini del gelato inquietanti, la fine del mondo per mano di una forza oscura e malvagia), sono sicuramente bellissimi.

Non mancano quelli che ho trovato essere graziosi tributi a un altro grande autore, Neil Gaiman, che mi è sembrato abbia accompagnato tutta la mia lettura, dai personaggi con gli occhi cuciti e le bocche chiuse da una zip, ai cordini magici che li tengono legati al male (sto pensando a Coraline e Stardust, e sorrido). Insomma un piacevole omaggio ad alcuni dei miei romanzi preferiti.

Se parliamo però dello stile di Chbosky nella scrittura di questo libro, devo far notare il primo difetto. 630 pagine. Si può fare, è ovvio. Ne ho tante testimonianze nei miei scaffali e io stessa sarei disposta a leggerne 1200 se tutte avessero una loro utilità. Il problema non è la lunghezza della storia, ma la capacità di mantenere vivo l’interesse per tutto lo svolgimento. Chbosky usa una scrittura eccessivamente spezzata e frenetica. Frasi corte, tronche, urgenti, spesso poche parole, troppo spesso una sola. Soggetto e predicato. Soggetto e predicato. Questo tipo di linguaggio serve ovviamente a creare tensione, ansia, paura, nel lettore, ma lo avrei apprezzato se fosse stato limitato alle scene in cui era necessario. Usarlo per centinaia di pagine di seguito ottiene il risultato opposto, e cioè infrange la tensione, distraendo la lettura e creando una vertigine che diviene opprimente. Anche se la storia è seducente e sinistramente irresistibile, non riesce a coinvolgere in modo completo. Ho avuto la sensazione che sia stata tirata troppo a lungo; forse un centinaio di pagine sono superflue e se fossero state tagliate avrebbero giovato al libro.

E qui mi starete già odiando (anche se ci tengo sempre a precisare che ogni recensione è un giudizio soggettivo di chi legge il libro), ma devo dire che il finale non è all’altezza dell’intreccio. Non posso svelare nulla ovviamente, ma alcuni espedienti per risolvere i momenti cruciali del romanzo li ho trovati quasi banali, non credibili (ammesso che ci sia qualcosa di credibile in queste storie di fantasia). Ma è proprio qui che sta la bravura di uno scrittore, soprattutto nel genere horror: riuscire a convincerti che una cosa impossibile sia possibile e lasciarti con la sinistra sensazione, sottopelle, di averla vissuta. Non ho riscontrato in “L’amico immaginario” questo trasporto; non sono riuscita a creare con Christopher quel legame necessario alla lettura e dopo cinquecento pagine ho iniziato a pensare che fosse ora di chiudere. In poche parole, non ho avuto paura. Non mi hai spaventata, Mister Chbosky, mi dispiace.

Divora la paura, o sarà lei a divorare te.

Sarà che sono abituata a mostri ben più spaventosi di una signora sibilante, o a paure molto più profonde di quelle su cui fa leva il romanzo.

Al contrario le tematiche del libro sono degne di nota. Mi sono ritrovata in Kate Reese, la madre che si considera inadeguata e spende tutta se stessa per garantire un futuro migliore al figlio. Ho apprezzato l’eterna lotta tra bene e male, dove il male torna ciclicamente e usa in questo caso bambini speciali, che vivono un senso di inadeguatezza e di incomprensione, per potersi diffondere nella comunità. Una società dove, come spesso accade, la perfezione è solo la facciata esteriore e ogni persona ha segreti nascosti, peccati, comportamenti sbagliati. La critica nei confronti degli adulti è piuttosto feroce; la maggior parte delle figure del libro, che siano genitori o insegnanti, ha contribuito alla crescita dei bambini di Mill Grove prendendo le decisioni sbagliate, perpetrando comportamenti negativi di cui dovranno subire le conseguenze. Ma la possibilità di riscatto, per fortuna, è dietro l’angolo, e attende anche quelli che sembrano essere persi per sempre. E’ il libro delle seconde possibilità, di chi riesce a sconfiggere il male che si ciba delle proprie paure, delle insicurezze, della rabbia e del risentimento.

Ho anche apprezzato il rapposto conflittuale che lo scrittore descrive con un Dio che viene considerato più di una volta fonte del male stesso

Perché Dio è un assassino, papà

e la trovata finale, che giustifica l’esistenza di alcuni dei personaggi presenti nella storia, mi è parsa geniale. Ma nel complesso, mi dispiace, il libro non è stato all’altezza delle mie aspettative. Resta pur sempre un buon romanzo; Stephen Chbosky scrive divinamente (o diabolicamente, come preferite) e credo vada letto, soprattutto se apprezzate questo genere. Armatevi però di pazienza mentre vi preparate all’ennesima lotta tra bene e male.


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