
Io so perché canta l’uccello in gabbia – Maya Angelou

Titolo: Io so perché canta l’uccello in gabbia
Autore: Maya Angelou
Editore: Mondadori
Genere: biografia
Pagine: 273
Prezzo: 13,50
Trama libro
Ha solo tre anni Maya quando, assieme al fratellino di poco più grande, dalla California viene spedita in Arkansas a vivere con la nonna e lo zio storpio perché i genitori si sono separati. Inizia da qui il racconto dei primi diciassette anni della sua vita: un classico della letteratura moderna sconvolgente e lirico allo stesso tempo, il primo bestseller scritto da una donna afroamericana, in cui l’irrefrenabile voglia di vivere si intreccia con il dolore di un’esistenza crudele, rivelando un’emotività potente e spesso contraddittoria. I due fratelli crescono nell’Emporio della nonna come «in un luna park il cui guardiano se ne era andato per sempre», e qui conoscono incanto e orrore, affetto e pregiudizio. L’America degli anni Trenta è popolata di eroi – i raccoglitori di cotone dalle dita tagliate e le schiene sfinite, ma anche i protagonisti dei libri che Maya divora -, e soprattutto di orchi – i “ragazzi” del Ku Klux Klan, il patrigno che a otto anni la violenta. Nonostante le difficoltà, l’indifferenza, gli abusi, Maya saprà costruire il proprio riscatto: anni dopo, a San Francisco, imparerà ad amare se stessa, a riconoscere la gentilezza negli altri, a controllare il proprio spirito indomito, e a usare le parole degli autori che ama per rompere la gabbia della sofferenza e innalzare il canto della propria vita.
Autore
Maya Angelou (1928/2014) è stata poetessa, attrice, scrittrice e ballerina statunitense. Dopo un’infanzia difficile, svariati lavori di ogni genere, inizia a scrivere la sua biografia, il cui primo volume avrà un gran successo e al quale ne seguiranno altri sei. Fu attiva nella lotta per la difesa dei diritti civili dei neri, lavorando al fianco di Malcolm X e poi Martin Luther King. Oggi le sue opere sono considerate un baluardo per le donne afroamericane e nere in generale.
Recensione libro
Quando ho terminato la lettura di questo primo volume della biografia romanzata di Maya Angelou, ho compreso appieno il motivo per cui sia diventata una delle voci più rappresentative del disagio, della sopportazione e della ribellione della popolazione afroamericana degli anni Trenta. La prima cosa che colpisce di questo libro è lo stile narrativo adottato dall’autrice: Maya racconta i primi diciassette anni della sua vita con il tono e la prospettiva di una bambina, la piccola Marguerite. Il suo racconto è pacato, semplice, ma intriso di una rabbia contenuta, come solo una bambina può esprimere. La sua infanzia è segnata da esperienze difficili. A soli tre anni viene mandata dai genitori separati a vivere con la nonna paterna in Arkansas, uno degli stati del Sud dove la segregazione razziale è più evidente e opprimente. Momma le offre una vita confortevole, ma rigidamente regolata dall’educazione e dalla religione. Maya avverte un senso di inadeguatezza profondo: essere nera in un mondo dominato dai bianchi e, al tempo stesso, sentirsi diversa dai suoi coetanei. Alta, smilza, spigolosa, si percepisce fuori posto, una sensazione aggravata dall’abbandono dei genitori e dalla terribile violenza subita dal patrigno.
Se crescere è doloroso per una bambina nera del Sud, rendersi conto di essere fuori posto è la ruggine sul rasoio puntato alla gola. E’ un insulto superfluo.
Nonostante le difficoltà, Maya alterna periodi di silenzi pesanti, in cui non parla per mesi, alla volontà di sopravvivere a ogni dolore, ogni perdita e ogni umiliazione. Cresce in lei una frustrazione verso la sua stessa gente, abituata a subire passivamente il dominio bianco, tanto che inizia a detestare entrambe le parti in gioco, ma come tutti i bambini va avanti, preoccupandosi solo di arrivare a fine giornata.
La capacità infantile di resistere deriva dalla mancata conoscenza di alternative.
Anche il suo rapporto con la religione è contraddittorio: se la povertà di una persona è giustificata come volontà divina, mentre la sua emancipazione dipende solo dall’uomo, allora la religione non diventa forse una pura comodità? Con il passare degli anni, Maya ottiene brillanti risultati scolastici e si libera dal senso di diversità che l’ha accompagnata fin dall’infanzia. Tuttavia, anche il suo successo accademico viene sminuito: quando sta per diplomarsi, quell’uomo bianco che ha sempre visto come una figura lontana, quasi irreale, le ricorda con una semplicità disarmante che, per quanto possano studiare, i neri non saranno mai considerati degni di occupare posizioni prestigiose come medici, avvocati o scienziati. Il loro nome potrà emergere solo nello sport, quindi per capacità legate alla loro conformazione fisica. E’ l’ennesima delusione.
Era terribile essere nera e non avere alcun controllo sulla mia vita. Era brutale essere giovane e già addestrata a stare seduta in silenzio ad ascoltare le accuse rivolte alla mia razza senza potermi difendere. Avremmo dovuto essere tutti morti.
L’ultima parte del libro ci mostra una giovane donna di diciassette anni che inizia a combattere per i propri diritti, ottenendo con determinazione il primo impiego come tranviera nera a San Francisco. Il suo spirito ribelle si sta consolidando, anche se la sua strada sarà momentaneamente interrotta da una gravidanza inaspettata che la renderà madre giovanissima. Questa lettura è stata incredibilmente potente: con uno stile fluido e una grazia rara per una biografia, Maya Angelou ci offre uno spaccato reale della vita dei neri negli anni Trenta. È un libro che consiglio vivamente agli appassionati di Storia e a chiunque voglia comprendere i sentimenti e le difficoltà di un’intera generazione afroamericana in uno dei suoi periodi più bui. Credo sarebbe interessante proseguire la lettura per accompagnare Maya nella lotta civile che caratterizzerà il resto della sua vita e che la porterà a lavorare al fianco di personaggi come Malcolm X e Martin Luther King. E’ per questo che mi auguro che vengano pubblicati anche i successivi volumi.
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