Mi sa che fuori è primavera – Concita De Gregorio

Mi sa che fuori è primavera – Concita De Gregorio

libro

Titolo: Mi sa che fuori è primavera

Autore: Concita De Gregorio

Editore: Feltrinelli

Genere: romanzo

Pagine: 128

Prezzo: 8,00

Trama libro

Ferite d’oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l’ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina. Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l’uomo si uccide. Delle bambine non c’è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l’amore che salda e che resta.


Recensione libro

Mi sono sentita tanto in colpa di essere di nuovo felice, nonna. Era come se tutti mi dicessero: come puoi essere ancora viva e aver voglia di stare ancora al mondo. E’ come se mi dicessero che sono morta anche io, ed è uno scandalo che mi ribelli.

Era da tanto tempo che volevo leggere un libro di Concita De Gregorio. A volte la trovo, di sera, ospite di varie trasmissioni e mi incanto a sentirla parlare. E’ una di quelle persone che, indipendentemente dal fatto che tu condivida o meno le stesse opinioni, hai piacere di ascoltare, forse per quella sua pacatezza, quel non irrigidirsi mai, quella intelligenza che traspare da tutto ciò che dice. Ho preso un libro a caso. Che sciocca. Come ha potuto non sfiorarmi il dubbio che essendo una giornalista ci sarebbe stata la possibilità che i suoi romanzi parlassero di storie vere, di fatti di cronaca? E così, senza leggere la trama, ho iniziato questa storia con ingenuità, e potete immaginare la sorpresa e anche un po’ il timore di andare avanti quando ho capito di cosa parlasse. Ma non vi spaventate: non troverete la descrizione dell’indagine o il racconto di quelle terribili settimane. Non è per questo motivo che Irina, la madre delle due gemelline scomparse quindici anni fa in Svizzera, ha bussato alla porta della De Gregorio; lo ha fatto per raccontare al mondo di come la società l’ha fatta sentire sbagliata, insensibile, di come si è sentita colpevolizzata perché dopo anni di un dolore indescrivibile ha cercato di ricostruirsi.

Se ci sono degli accenni alle indagini è solo perché Irina vuole sottolineare quanto sia stato difficile essere donna in una storia simile, in un paese che non l’ha aiutata, che non le ha creduto quando sosteneva che il marito potesse aver sottratto le bambine, perché lui in fondo era un uomo, tedesco per di più e quindi doveva stare tranquilla perché non poteva essere successo nulla. Se c’è uno scopo per cui giudica alcuni momenti dell’indagine è per essere di aiuto ad altri genitori che possono trovarsi nella stessa situazione, motivo per cui ha fondato la Missing Children Switzerland: perché nessuno si senta abbandonato come è capitato a lei. Irina si racconta alla De Gregorio, le chiede di mettere per iscritto ciò che lei non è capace di spiegare; e l’autrice trova una forma narrativa scorrevole che incanta e mantiene viva l’attenzione del lettore. I capitoli in cui Irina racconta in prima persona gli anni successivi alla scomparsa (fatti non solo di confessioni ma anche di lettere alla nonna, alla sua migliore amica, al giudice che si occupò del caso, alla maestra delle bambine) si alternano ad altri in cui la scrittrice parla della donna, di come la vede, di cosa sente quando la osserva, di quello che le ha regalato la sua conoscenza. A rendere più scorrevole la narrazione ci sono poi capitoli in cui Irina compila elenchi di pensieri, parole di cui indagare il vero significato, cose da non dimenticare, ricordi da studiare meglio per capire se avrebbero potuto essere utili.

Ma sempre la scrittura di Concita De Gregorio è delicata, intima, entra nella vita di questa madre con passo leggero, senza mai chiedere troppo, senza porre domande eccessive su Alessia e Livia, senza risvegliare un dolore con cui Irina riesce oggi a convivere. L’autrice attende paziente che sia la donna stessa a raccontarsi e accoglie ogni informazione con una grazia rara, mettendola su carta senza farne un evento mediatico. Ma cosa voleva dire davvero questa madre senza figli? Che dopo un evento simile niente può essere più come prima. E se il dolore non ti spezza, ti cambia. E Irina è cambiata, lei che oggi vede i dispiaceri quotidiani in modo diverso, anzi forse non li nota nemmeno più, perché non c’è davvero nulla nella vita di tutti i giorni che possa farla soffrire e per cui debba davvero intristirsi.

Vedi per esempio la parola dispiacere, come cambia quando l’hai maneggiata tanto? A me non dispiace niente, nonna. Tutto mi pare una sorpresa e un regalo. Quando sento le persone attorno a me che si addolorano per questioni così piccole, penso state attenti, non giocate col drago, potrebbe svegliarsi.

Irina ha imparato ad apprezzare i singoli momenti di serenità e ognuno di questi piccoli eventi è un regalo gradito dopo il vero dolore. Si concentra brevemente sul rapporto col marito, forse pensa che avrebbe dovuto capire prima, che avrebbe potuto fare qualcosa, prevedere, evitare, ma non sono mai situazioni facili e il coniuge tende purtroppo a sottovalutare alcuni segnali.

Mi sono accorta che non ero più io, ma c’erano le bambine ed era troppo tardi.

Ho pensato: pazienza, passerà.

Ma l’essere andata avanti e aver persino ritrovato l’amore, uno vero, dolce, giusto, significa forse che ha dimenticato? Non credo si possa, anche volendo, dimenticarsi di un figlio. Irina ha spostato il ricordo di Alessia e Livia nel cuore, dal quale non si allontaneranno mai e mai verranno sostituite. Ed è l’unico modo che ha trovato per potersi svegliare ogni mattina e continuare a respirare.

L’assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia. La nostalgia è fisica, poi. Non c’è niente, nessuno che possa sostituire l’assenza di qualcuno. Solo il sogno.

Perché per ironia l’unico sistema per combattere il dolore è avere qualcosa per cui essere felici ancora, piccoli gesti, piccoli avvenimenti che la fanno sorridere. E riuscire ad apprezzarli non significa essere una cattiva madre, ma semplicemente essere una donna che ha trovato la forza di rialzarsi e continuare a vivere, in modo diverso, certo, ma pur sempre vivere. E’ una lettura che ti tocca nel profondo, che ti chiede di andare avanti, di ascoltare Irina che ti offre le sue emozioni. E la De Gregorio è un’abile tramite, che ha saputo esprimere tutta la forza e il dolore di questa donna.

C’è bisogno di essere felici, nonna, per tenere testa a questo dolore inconcepibile. C’è bisogno di paura per avere coraggio. E’ l’assenza la vera misura della presenza. Il calibro del suo valore e del suo potere.


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