L’Abbazia di Northanger – Jane Austen

L’Abbazia di Northanger – Jane Austen

Titolo: L’Abbazia di Northanger

Autore: Jane Austen

Editore: Giunti

Genere: romanzo

Pagine: 304

Prezzo: 7,60

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Trama

Questa è la storia della giovanissima Catherine Morland, appartenente a una famiglia inglese benestante e di seri costumi, la quale fin da piccola risultò abbastanza insignificante, banale, sgraziata e senza nessuna straordinaria inclinazione. Molto lontana, quindi, dalle eroine presenti in tante altre storie. Fu solo crescendo, dopo i quindici anni, che Catherine iniziò a curare un poco la sua figura e il suo comportamento, tanto da essere considerata “quasi bellina”. E’ in questo momento di cambiamento che la ragazza, cresciuta in campagna, lontana dallo sfarzo della città e dalla confusione degli impegni sociali, viene invitata da cari amici di famiglia a passare alcune settimane a Bath in loro compagnia. Si apre così per Catherine un mondo nuovo, a lei totalmente sconosciuto: balli, pranzi fastosi, vestiti ricercati, ragazzi che per la prima volta la osservano e si accorgono della sua esistenza.

Ma la vita di un’eroina è, ovviamente, costellata di equivoci, drammi familiari, impedimenti vari che la distolgono dalla sua strada e le impediscono di coronare il suo sogno d’amore. Così, anche per Catherine inizia un periodo altalenante di felicità e depressione, piccole conquiste e rovinose disfatte. Affiancata da Miss Isabel Thorpe, che in breve diventerà sua migliore amica, confidente e quasi sorella, Catherine è così presa dal tentativo di farsi notare dal giovane Mr. Tilney, che non nota, nella sua ingenuità, le pericolose mire del fratello di Isabel, John Thorpe, disposto a tutto pur di ottenere la mano della fanciulla. Quando finalmente è convinta di aver chiarito i propri sentimenti con Mr. Thorpe, la vita di Catherine è rischiarata dall’invito di Miss Tilney, sorella del suo amato Hennry, a passare qualche giorno presso la loro residenza, all’Abbazia di Northanger. Partendo per questa nuova avventura, la giovane non sa quali oscuri segreti si nascondono nell’antica dimora e non può calcolare le conseguenze del suo rifiuto nei confronti di John Thorpe.

Il nostro compito è infinitamente diverso, noi riportiamo a casa la nostra eroina sola e in disgrazia.

Come potrà Catherine Morland uscire dalla situazione penosa in cui è caduta?


Autore

Jane Austen (1775 – 1817) è una delle figure di spicco della letteratura inglese di fine Settecento, e tra le penne più importanti della letteratura mondiale. Fu educata in casa, in un ambiente culturalmente stimolante, e amò per tutta la vita ritirarsi nella sua stanza a leggere e scrivere. Fu allontanata in giovane età dal figlio di un vicino per il quale provava un sentimento sincero, perché il padre del ragazzo riteneva Jane, figlia di un semplice pastore, socialmente inadeguata per far parte della sua famiglia.

Per più di venti anni la Austen cercò inutilmente di pubblicare le sue opere. Solo nel 1813 un editore accettò il manoscritto di “Orgoglio e pregiudizio“, che ottenne subito un discreto successo. Seguirono “Mansfield Park“, “Ragione e sentimento“, “Emma“, “L’abbazia di Northanger” e “Persuasione“. A soli quarant’anni la scrittrice si ammalò gravemente (oggi si pensa avesse il morbo di Addison) e morì senza che i medici riuscissero a trovare una cura. Per anni i suoi romanzi sono stati pubblicati senza nome, solo con la dicitura “scritto da una signora“; solo dopo la sua morte fu finalmente svelata la proprietà delle opere.


Recensione

L’Abbazia di Northanger” è, tra i numerosi romanzi di Jane Austen, uno dei meno conosciuti e dei meno apprezzati. E’ altrettanto probabile che questo sia dovuto alla sua pubblicazione postuma, dopo la morte della scrittrice, oppure alla singolare differenza con le sue più famose opere. Quando la Austen tentò di pubblicarlo, nessun autore accettò il manoscritto. In quel periodo la società inglese sembrava essere stata completamente rapita dal romanzo gotico e da quello sentimentale, dei quali “L’Abbazia di Northanger” è una franca parodia, e prendersi l’onere di diffondere una simile satira, seppur benevola, proprio nel momento in cui usciva un’opera che era già nelle case di tutti i lettori (sto parlando di “I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe, che la stessa protagonista decanta lungamente) non sembrò forse una buona mossa strategica. Il libro uscì quindi solo nel 1818, quando il fratello di Jane riuscì finalmente ad apporvi il vero nome dell’artista.

Ho ritrovato nel libro lo stesso umorismo che caratterizza “Orgoglio e pregiudizio“, questa volta ancora più sarcastico e pungente, grazie al quale la Austen riesce a tratteggiare con poche frasi i suoi personaggi, dandone un’idea chiara e sintetica al lettore. Ne “L’Abbazia di Northanger” il narratore è la stessa scrittrice, che dichiara di voler presentare l’eroina e raccontarne la storia; scelta narrativa che le vale un rapporto immediato con il lettore, al quale spesso si rivolge concedendo riassunti e anticipazioni. Già nella presentazione della protagonista, Catherine Morland, la Austen mostra apertamente la volontà di burlarsi delle eroine tanto amate in quell’epoca (protagoniste tra l’altro di molti suoi romanzi), che seguono nel genere letterario sentimentale uno schema ben preciso. Eppure Catherine appare subito una antieroina: sgraziata, insignificante, manchevole di fascino e bellezza e persino di qualunque conoscenza delle normali attività femminili.

L’apprendere di essere “quasi bellina”, per una fanciulla che nei primi quindici anni della sua vita è stata insignificante, è una gioia più grande di quanto non possa provare chi vanta la bellezza fin dalla culla.

Catherine si accontenta quindi di essere passabile e si immerge nel mondo della buona società con animo ingenuo e avventuroso, come se ogni avvenimento dovesse portarla verso avventure intriganti e pericolose.

Quando una fanciulla è destinata a diventare un’eroina, le deplorevoli manchevolezze di quaranta famiglie del vicinato non potranno prevalere contro di lei. Qualcosa dovrà accadere, qualcosa inevitabilmente accadrà per mettere l’eroe sul suo cammino.

E così, la banale e priva di attrattive Catherine Morland viene a contatto con il buon costume inglese, del quale deve seguire le regole se vuole essere accettata e avere qualche possibilità di raggiungere l’obiettivo finale: trovare marito. Ma l’amore del romanzo ottocentesco è un sentimento a comando e nessuna giovane può dimostrare affetto verso un uomo se questo non si sia dichiarato. Dopo tale rassicurazione, è invece possibile, secondo la società, innamorarsi follemente.

Se è vero, come ha affermato un celebre scrittore, che una giovinetta non può decentemente innamorarsi prima che il giovane le abbia fatto la dichiarazione, sarebbe stato sconveniente per Catherine sognare Tilney prima ancora di sapere se il giovane avesse sognato di lei.

Come poteva essere apprezzato un libro dove, ad ogni pagina, il lettore ottocentesco trova parole di scherno per i suoi costumi e le sue abitudini? Se tutte le regole vengono sovvertite, cosa ne sarà del buon costume?

Sullo sfondo della dolce e travagliata storia d’amore, si snoda poi il carattere gotico dell’opera, palese tentativo di deridere la nuova moda in voga nei salotti letterari: e così, nell’antica e misteriosa Abbazia, Catherine cadrà vittima di ambienti inquietanti, rumori sinistri, stanze nascoste alla vista che racchiudono segreti inconfessabili, passati oscuri e tremendi che la nostra eroina dovrà scoprire da sola grazie alla sua audacia e alla sua curiosità. Alla fine, gli eventi insegneranno alla giovane Catherine non solo a non credere a intrighi e fantasmi e a calmare la sua audace fantasia, ma soprattutto a non considerare una persona dalla apparenze, mitigando la sua ingenuità e la sua bontà di cuore.

I personaggi principali del romanzo sono ben tratteggiati e hanno un carattere deciso e ben delineato. Accanto alla ragazza, troviamo questa volta un uomo che le si rivolge con ironia, deridendola spesso e dando l’impressione di volerla addirittura offendere. Ma se si guarda con attenzione, si scoprirà che Mr. Tilney intende solo portare Catherine a pensare con la sua testa, al di fuori della massa, che invece vorrebbe la donna intenta a curarsi di cucito, vestiti e pizzi.

Una giovinetta che desidera ispirare affetto a qualcuno dovrebbe essere ignorante. La cultura rende incapaci di alimentare la vanità atrui (…) Se una donna ha la disgrazia di avere una certa cultura, deve cercare di nasconderla per quanto possibile.

Parole dure, che sotto il velo della solita ironia, criticano aspramente la società inglese dell’Ottocento, nella quale probabilmente Jane Austen avrà faticato a sopravvivere. Una tale critica sociale mi ha ricordato le dissertazioni di Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé“, dove peraltro considerava la Austen come la prima vera romanziera che avesse improntato la sua scrittura esclusivamente sull’universo femminile, fino ad allora tenuto in poco conto. Due sono le accuse della scrittrice verso il suo tempo: la convinzione che la donna non abbia la stessa capacità dell’uomo di scrivere romanzi, considerandola solo in grado di scrivere diari personali e futili lettere, carenti di argomenti. L’altra, a cui tiene di più, è una strenua difesa del genere letterario del romanzo, che a inizio Ottocento è considerato frivolo e contrario al buon gusto, tanto più se scritto da una donna. La Austen critica apertamente questo sminuire un genere che ritiene molto più allettante dei saggi maschili noiosi e pedanti, e chiede con fervore ai lettori di non vergognarsi di mostrare il loro interesse verso questo tipo di libri.

«E che cosa leggete, signorina?»

«Oh! Non è che un romanzo!» replica la giovinetta, lasciando cadere il libro con indifferenza ricercata o con momentanea vergogna. «E’ Cecilia, o Camilla, o Belinda» o, per farla breve, non è che un’opera nella quale sono prodigate le più belle facoltà dello spirito e che offre al mondo, in un linguaggio scelto, la più completa conoscenza della natura umana, la più felice descrizione della sua varietà, le più vive manifestazioni di spirito e di brio.

La sua speranza è che sia il lettore stesso a cambiare atteggiamento nei confronti del genere letterario, dimostrando che non è contrario al buon costume passare il tempo tra le pagine di un romanzo e perdersi nelle storie degli eroi che ne sono protagonisti.

Non disertiamo la nostra causa; apparteniamo a una casta discreditata. Sebbene la nostra produzione offra un diletto più ampio e spontaneo di qualsiasi altro genere letterario, nessun genere di composizione è stato maggiormente svalutato. Per vanità, ignoranza o moda, i nostri nemici sono numerosi quanto i nostri lettori.

Ne risulta un romanzo che scorre velocemente e in modo più che piacevole: secondo il mio gusto personale ancor più dei grandi capolavori della scrittrice. C’è in questo libro un’ironia irresistibile e trascinante, una serie di battute continue e pungenti che portano avanti una critica sociale aspra e severa verso una società che si basa sulla superficialità e l’apparenza. Ho scoperto personaggi che sanno essere sgraditi in modo insopportabile, e un’eroina che non lo è affatto, ma che risulta essere una semplice ragazza alle prese con le sue passioni e la sua eccessiva fantasia. Jane Austen si dimostra come sempre una figura fuori dal comune per l’epoca in cui è vissuta e anche quest’opera (forse più di altre) imprime un andamento nuovo e sconvolgente alla letteratura dell’Ottocento. Sono certa che i suoi protagonisti vi ruberanno il sonno e resteranno per sempre nella vostra memoria come una delle coppie più bizzarre e coinvolgenti della letteratura classica di sempre.


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