Uno, nessuno e centomila – Luigi Pirandello
Titolo: Uno, nessuno e centomila
Autore: Luigi Pirandello
Editore: Einaudi
Genere: romanzo
Pagine: 166
Prezzo: 9,50
Trama libro
Vitangelo Moscarda vive la sua vita a Richieri in assoluta tranquillità. Un matrimonio saldo e felice con Dida, che lo adora; una situazione economica serena, grazie alla proprietà della banca del paese, ereditata dal padre; due soci che portano avanti gli affari per suo conto, togliendolo da ogni onere. Finché un giorno, per uno scherzo sciocco, Dida gli fa notare che il suo naso, che egli aveva sempre considerato dritto, pende leggermente da un lato.
Per il povero Moscarda inizia una ricerca affannosa della sua vera identità, nel tentativo di capire che immagine hanno di lui le persone che lo conoscono. Disgraziatamente, l’uomo scopre che ognuna di loro ha costruito un Moscarda diverso, che non combacia con la forma che lui credeva di avere. Nel suo processo di indagine capirà, con suo vivo rammarico, che la stessa realtà che lo circonda e alla quale lui dà un significato, non corrisponde a quella che percepiscono gli altri.
Reso folle dalla scoperta, Moscarda deciderà di infrangere la visione che il paese ha di lui, cambiando radicalmente le sue abitudini e prendendo decisioni così avventate e lontane dalla sua figura che l’intera Richieri, invece di considerarlo diverso, lo crederà completamente pazzo.
Autore
Luigi Pirandello (1867-1936) è stato drammaturgo, scrittore e poeta italiano di notevole fama. Nel 1934 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura, per il rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale. Inizialmente non apprezzato dalla critica, divenne in seguito famoso in tutto il mondo, tanto che le sue commedie arrivarono anche a Broadway.
Dopo una iniziale prosperità economica, Pirandello dovette combattere per tutta la vita con problemi di liquidità, oltreché con la tristezza di accudire la moglie, affetta da una malattia mentale e chiusa ben presto in una casa di cura. Tra i romanzi e le opere teatrali che ne hanno sancito la notorietà ci sono “Il fu Mattia Pascal“, “I vecchi e i giovani”, “Liolà”, “Così è (se vi pare)”, “Il gioco delle parti”, “Sei personaggi in cerca d’autore“, “Uno, nessuno e centomila”, “Ma non è una cosa seria“.
Recensione
È la seconda volta che affronto “Uno, nessuno e centomila“. Il primo tentativo risaliva a tanti anni fa, alle scuole superiori, e ne avevo un ricordo inquietante e piacevole al tempo stesso. Avevo piena memoria, infatti, di quella sensazione di disagio e di ansia che per settimane mi sono portata dietro ogni volta che mi guardavo allo specchio. La mia mente aveva costruito un’idea del libro come di uno dei più intensi e significativi che io avessi mai letto; di una meraviglia della letteratura. Quello che non rammentavo, devo ammetterlo, era quanto fosse difficile la lettura di una simile opera. Ma chissà, forse a vent’anni avevo saltato qualche pagina. Forse svariate pagine.
Questa volta no, ho ascoltato ogni singola parola, e ammetto di aver faticato. Non credo sia per il linguaggio, che ovviamente riflette gli anni in cui è stato scritto (inizio 900). L’italiano usato è elegante e colto, ma allo stesso tempo asciutto e spesso quotidiano, ricco di figure retoriche e di termini ormai in disuso nella lingua moderna. Ma dopo qualche pagina ti abitui e non lo noti più.
Lo stile narrativo, il monologo del protagonista, che da solo racconta tutta la vicenda in un susseguirsi di considerazioni intime alternate al racconto oggettivo degli eventi, alla fine non disturba il lettore. Anzi, lo incalza a proseguire, spesso rivolgendosi direttamente a lui in finte conversazioni, ponendogli interrogativi sulla vita. La tematica in sé è così affascinante che crea dipendenza e affretta la lettura, nella speranza che il protagonista, tale Vitangelo Moscarda, trovi una soluzione a quello che in poche pagine diventa il nostro assillo.
A ben guardare, quindi, quello che davvero mi ha affaticato è la ripetizione del concetto per tutte le 166 pagine. Voi direte: che sono 166 pagine? Si leggono in un giorno. Credetemi. Non è così. Non quando un’idea così sconvolgente e complessa viene ripetuta fino allo sfinimento in innumerevoli varianti. Ma questo è lo stile di Pirandello, che gli ha concesso una fama straordinaria come scrittore e drammaturgo, e indubbiamente a ragione. I cambiamenti apportati dai suoi scritti alla letteratura e al teatro dell’epoca sono incontestabili e il genio letterario non è oggetto di discussione. Occorre avere solo un po’ di pazienza e di costanza per arrivare in fondo al breve romanzo e si verrà ripagati dalla scrittura del maestro.
Il protagonista, Moscarda, rappresenta la crisi dell’uomo moderno ed è, per la prima volta, un antieroe e il riassunto di tutte le tematiche più care all’autore; quasi un lascito prima della sua morte, a compimento di uno studio approfondito che Pirandello ha effettuato sull’uomo durante tutta la sua carriera. Moscarda è un uomo inconcludente, indeciso, che non si è mai messo in gioco veramente, ma ha seguito le orme imposte dalla famiglia e dalla società. Quando per scherzo sua moglie Dida gli fa notare alcuni difetti nella sua figura, Moscarda inizia un lento processo di acquisizione della consapevolezza di non potersi osservare da fuori. Lui solo, a differenza di chi lo guarda, non potrà mai cogliere l’essenza del reale Moscarda, se non nella staticità della morte.
Io non potevo vedermi vivere. Sono quell’estraneo che non posso veder vivere se non così, in un attimo impensato.
Ne deriva un senso di estraneità verso se stesso che deprime e sconvolge il povero Moscarda, il quale realizza di non essersi mai conosciuto veramente, di avere di sé un’idea che non corrisponde a quella dello specchio.
Come sopportare in me quest’estraneo? Come non vederlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me?
E gli altri allora come ci vedono? Il problema diviene sempre più complesso. Ogni persona che conosce il protagonista si è fatta un’idea di lui che non corrisponde a quella delle altre. Non c’è più un solo Moscarda, quindi, ma tante versioni di lui quante più persone lo osservano. Non più uno, ma centomila. E in questo frammentarsi della sua figura in infinite varianti, si finisce per essere nessuno. Lo stesso vale allora per la realtà, che non è una sola, ma diversa a seconda di chi la guarda, e per le parole dette, che vengono intese in modo diverso e alle quali vengono attribuite infinite verità.
Che colpa abbiamo, noi e voi, se le parole sono vuote? E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.
Per sfuggire alle varie forme che gli vengono date, il povero Moscarda cercherà di distruggerle agli occhi degli altri, prendendo decisioni avventate e inaspettate, dalle quali otterrà invece solo la fama di pazzo. Ogni volta che tenterà di disgregare la visione che il paese ha di lui, riuscirà solo a creare una nuova maschera che l’opinione altrui gli imporrà. La follia sarà l’unico modo per allontanarsi da una vita paradossale in cui si sente imprigionato.
Un’opera intensa, quindi, che ti lascia dentro un senso di frustrazione e curiosità al tempo stesso, date entrambe dall’impossibilità di vedersi con gli occhi degli altri. E se volete evitare una frattura tra la vostra realtà e quella delle persone che vi conoscono, evitate di chiedere, una volta chiuso il romanzo, se il naso che credete così perfetto lo è davvero, o se quelle mani di cui vi vantate tanto sono in effetti così eleganti e aggraziate, oppure se vostra moglie, o vostro marito, vi considera realmente così divertente.
Temo che la risposta potrebbe non piacervi.
“Uno, nessuno e centomila” è uno di quei testi che secondo me vanno letti almeno una volta nella vita. Se volete sapere quali sono i 100 romanzi da leggere assolutamente, vi consiglio questo articolo Libriz.it
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